«È vero quello che dicono delle rose?», «Che cosa dicono?», «Che in primavera la valle si riempie di rose», «Io non ne ho mai viste, colonnello». Ballesio sospira. «Lo immaginavo. Certo. Perché le rose dovrebbero crescere in un posto tanto orribile?». La scena avviene in Afghanistan, nella base militare dove si svolge buona parte del romanzo di Paolo Giordano, Il corpo umano. Le rose appaiono un miraggio in quel luogo di deserto e di devastazione, eppure, evocandole, prendono vita, e non solo nella fantasia. Mi ricordano un gelsomino che ho visto nel deserto intorno a Gerico, e il ragazzino muto che mi ha guidato alla tomba, secondo gli islamici, di Mosé. Come viveva, in mezzo alla sabbia, quel gelsomino fiorito? E come faceva quel ragazzino a parlare con tanta intensità nel silenzio dei suoi gesti elementari? Con la mano mi ha chiesto di avvicinarmi alla pianta, ha strappato un rametto e me lo ha offerto, toccandosi il naso e poi aprendo le braccia. Il profumo del gelsomino ostinato si espandeva, immenso. Difficilmente lo dimenticherò. Ha qualcosa a che fare, credo, con il silenzio assoluto del romanzo di Paolo Giordano, quando i soldati, la notte, sdraiati sulle brande, riescono a sentire il battito del proprio cuore. L'attività incessante del corpo umano.