«Non si finisce mai di imparare che senza immaginazione non si può amare né se stessi né gli altri uomini né Dio». In un saggio densissimo, Il mondo senza Benjamin e altro, Massimo Morasso apre squarci sulla realtà attraverso visione e immaginazione. Una certa cultura ci ha abituato a considerare l'immaginazione come una sorta di principio illudente o autoilludente. Nel Seicento addirittura venne relegata all'ambito esclusivo della poesia, considerata non pertinente il vero, ma il mondo delle fantasticherie. Poiché al contrario la poesia, come il teatro, è una delle vie privilegiate di accesso alla realtà nel suo mistero, attraverso la finzione, l'immaginazione è fondamento di conoscenza. Realtà terrena e celeste, come la definì Platone, non è solo una facoltà, ma un mondo. Melville distingueva gli uomini in due categorie, immaginativi e inimmaginativi: ai primi (nel loro cuore, qualunque fosse la loro occupazione, fanciulli, marinai, musicisti, poeti) era concessa la conoscenza immediata, che non può fare a meno di immagini. Chi sa solo astrarre, senza immaginare, senza vedere, senza dare una forma ai pensieri, non può amare se stesso, che non sente vivere, non può amare gli altri, che percepisce come realtà astratte, e non può amare Dio, creatore emanante delle forme e della vita.