Una campagna promozionale con pochi precedenti ha preparato l'arrivo ieri in grande stile di Anna su Sky Atlantic. Dalle 21,15 in poi sono andati in onda tutti e sei gli episodi (disponibili anche on demand) della nuova serie creata e diretta da Niccolò Ammaniti, che alla luce della pandemia inquieta e non poco, soprattutto dopo aver letto la didascalia iniziale: «La serie Anna è tratta dal romanzo omonimo pubblicato nel 2015. L'epidemia da Covid-19 è scoppiata sei mesi dopo l'inizio delle riprese». Inquieta perché romanzo e serie tv raccontano di un virus che ha sterminato gli adulti, lasciando il pianeta nella mani dei bambini, che restano indenni fino allo sviluppo. Molti di loro vivono in branchi come selvaggi. Anna, che seguiamo dagli otto ai quattordici anni, affronta, con il fratellino Astor, le insidie del nuovo mondo in una Sicilia post virus. Per farlo ha con sé il "Libro delle cose importanti", un quaderno scritto dalla mamma poco prima di morire, un vademecum che seppure imperfetto le dà forza e le indica come sopravvivere e crescere Astor. Non ci addentriamo oltre nella vicenda per non togliere il gusto a chi non si è divorato stanotte i sei episodi e vorrà, al contrario, centellinarli, anche perché la serie, al di là di un indiscutibile fascino, non è di facile impatto. È una favola nera, dura, forte e al tempo stesso poetica, in cui convivono amore, sfida, crudeltà e speranza. Ammaniti dimostra in modo inequivocabile di saper scrivere anche con le immagini, anzi: con la complessità dei linguaggi. Nei panni del regista, lo scrittore romano armonizza la fotografia, la musica, i costumi, la scenografia, gli effetti speciali. In Anna ogni elemento contribuisce al buon esito finale, anche se nel cinema e in tv come nella letteratura alla base di tutto ci deve essere la capacità di immaginare e di raccontare le storie, perché solo attraverso le storie niente muore mai davvero e ciò che è incredibile può accadere, anche che i delfini (come in una delle sequenze della serie) saltino in un campo di grano.