Sarà la volta buona? Davvero quanto è accaduto questa settimana sul fronte della vitivinicoltura italiana può essere il segno di una svolta nel modo di costruire le politiche agroalimentari nazionali nei confronti dell'Ue?Può darsi, anche se tutto sommato è ancora presto per valutazioni definitive. È un fatto, tuttavia, che gli Stati Generali del Vino, convocati dal ministro per le Politiche Agricole Paolo de Castro, rappresentano almeno un «evento» nuovo nel panorama agroalimentare nazionale. Soprattutto perché l'atteggiamento del governo è stato quello di porsi «in ascolto» nei confronti delle esigenze della filiera vitivinicola alle prese con una indubbia difficile situazione di mercato, con una riforma dell'organizzazione comunitaria dello stesso che presenta molti passaggi negativi e, soprattutto, con la necessità di far fronte ad una concorrenza sempre più agguerrita e spietata. Certo, dalla nostra sono ancora i buoni numeri che il comparto riesce a mettere in fila. Nel 2005 il fatturato del vino italiano è arrivato a 9 miliardi di euro, le esportazioni a 2,8. Mentre possiamo farci forti di 464 vini Doc, Docg e Itg per oltre 15 milioni di ettolitri su circa 53 prodotti. Insomma, sulla scena internazionale non ci comportiamo certo male, anche se il consumo pro-capite è sceso sotto gli ormai mitici 50 litri. Soprattutto è da notare un fatto, che giustamente il ministero rileva: a vent'anni dallo scandalo del metanolo oggi l'Italia produce il 37,4% in meno rispetto all'86 ma il vino vale molto di più. Il fatturato del settore è in vent'anni più che triplicato (+260%), come il valore dell'export (+250%). Insomma, i nostri produttori sono additati come quelli che la qualità riescono ad ottenerla davvero dalla vite e dalle tecniche lecite.Eppure i problemi a cui mettere mano non mancano. Bisogna sicuramente tenere conto, prima di tutto, che non tutto il vino italiano è a denominazione di origine protetta, non tutti i vigneti sono di alta qualità e, anzi, una certa parte di questi dovrebbero beneficiare degli aiuti per una radicale ristrutturazione. Serve, in definitiva, riuscire a migliorare i redditi dei produttori, innovare e semplificare la filiera, dare nuovo slancio alla promozione. Chi, poi, chiede una riorganizzazione totale dell'offerta oltre ad una revisione delle strategie commerciali rivolte al consumo, non sbaglia di certo. Soprattutto pensando alla dinamicità dei nostri concorrenti.Dietro alla situazione non facile in cui si trova il comparto nazionale, c'è poi il resto del quadro europeo. Proprio nel corso degli Stati Generali è stato quindi chiesto di riuscire a far passare in Europa l'idea che occorre imporre il proprio modello produttivo e non seguire altre strategie politiche. A questo punto, la parola passa al governo messo stavolta alle strette non solo dalle posizioni degli altri Stati europei ma, soprattutto, dalle indicazioni emerse proprio dalla filiera nazionale.