Il vino italiano si affida all'export
Diversa, invece, è la situazione dal punto di vista delle esportazioni. Nei primi sei mesi del 2005 le vendite all'estero sono, infatti, complessivamente cresciute dell'8,3% in quantità e dell'1,4% in valore, sia pure con un prezzo medio di vendita all'ingrosso in difetto del 7% rispetto allo scorso anno. E non solo, perché nel più ricco dei mercati per i vini italiani - quello USA - le cose sembra siano andate ancora meglio con un balzo in avanti del 14%. Una indicazione che fa dire agli osservatori del mercato come, alla fine dell'anno, la vitivinicoltura nazionale potrebbe raggiungere nei soli States vendite per un miliardo di dollari. Buone notizie, dunque, che non valgono ovviamente a cancellare la serie di problemi aperti anche per la vitivinicoltura. Ad iniziare da quello della concorrenza sempre più accesa. I «nemici» del vino italiano, fra l'altro, non sono incarnati dalle etichette francesi e nemmeno da chi scimmiotta i nostri migliori nomi enologici. A dare del filo da torcere sono i nuovi produttori viticoli. Basta pensare che l'Australia in dieci anni ha quasi triplicato la sua superficie
e oggi produce 15 milioni di ettolitri all'anno di cui il 75% esportati. Il Cile in pochi anni è passato da 4 a 10 milioni di ettolitri e ne esporta il 60% che diventerà quasi l'80% entro la fine di quest'anno. E non solo, perché a far pensare i nostri bravi vitivinicoltori dovrebbe anche essere la fortissima concentrazione della concorrenza. In Australia, per esempio, le aziende che contano sono solamente quattro. Insomma, il buon vino ha sempre un gran fascino, ma la partita non si gioca più solamente su di esso.