Il vino italiano perde «in casa»
A conti fatti, stando a quanto recentemente emerso nel corso di un'anteprima di Vinitaly 2011 (l'appuntamento annuale del comparto a Verona), lo zoccolo duro rappresentato dai consumi interni continua a non dare gli stessi segnali positivi dei mercati internazionali. Anzi, gli ultimi dati hanno fatto registrare una flessione degli acquisti anche nel 2010. Un percorso che parte certamente da lontano " dagli anni '70 ad oggi il consumo nazionale procapite è passato da oltre 100 a circa 40 litri "
ma anche una strada che deve far riflettere tutti i produttori sulle strategie da adottare.
D'altra parte, pur crescendo in termini assoluti, sta cambiando faccia se rapportato alla concorrenza mondiale. Mentre infatti negli anni '80 e '90, Italia e Francia rappresentavano il 75% delle esportazioni mondiali, oggi arrivano solo al 50%. Semplice il motivo: la crescita di altre aree produttrici, l'aumento della competitività di Paesi fino a poco tempo fa lasciati a margine dei grandi giochi di mercato che, però, nel tempo sono riusciti a guadagnare in termini di qualità e di rapporto favorevole rispetto ai prezzi. È forse per questo che Lamberto Vallarino Gancia, presidente di Federvini, proprio a Verona ha fatto notare come non si possa «"vivere di solo export». Come dire: se anche la domanda estera di vini improvvisamente rallentasse, sarebbe un disastro per l'intera nostra vitivinicoltura. Non solo quella di medio livello, ma anche quella delle grandi etichette.
Il dibattito su come fare, tuttavia, è più che aperto. Anche perché c'è un dato di fondo con cui occorre fare i conti: il declino dei consumi nazionali è avvenuto nonostante un deciso miglioramento della qualità del vino prodotto, frutto di un cambiamento di mentalità dei produttori e di forti investimenti nella vigna e in cantina. D'altra parte, la qualità in più costa e spesso anche tanto. Mentre il mercato in generale, e quello alimentare in particolare, hanno dovuto fare i conti con una congiuntura economica che non ha certo lasciato spazio alla crescita delle spese. La stessa crescita della qualità fa a pugni, altrettanto spesso, con la crescita dei volumi. Detto in altri termini, le etichette di pregio, più care e blasonate, sono rimaste appannaggio di pochi bevitori, esigenti ma non certo forti in quanto a numero di bottiglie consumate.
Certo, molti produttori e guru del vino puntano il dito ancora sulla qualità e sulla comunicazione efficace per far apprezzare un prodotto obiettivamente sempre più complicato da vendere. Il problema però è più ampio: come conciliare qualità elevata e consumo di massa, prezzi elevati e redditi in diminuzione?