Il vino buono e le storie di quotidiana resistenza
Oggi che la pandemia non è aggressiva come nelle primavere scorse, restano tuttavia a rischio 40mila posti di lavoro nell'industria alimentare e molti di più in agricoltura. Si guarda con preoccupazione all'evoluzione della crisi russa, che potrebbe avere ripercussioni non solo in campo energetico, ma sull'approvvigionamento stesso di materie prime. E il mondo agricolo si è mobilitato, per far presente quanto vale un settore che nei proclami della politica è l'eterna Cenerentola. In viaggio fra il Monferrato e la Franciacorta, a Rovato, Vittorio Moretti, patron di Bellavista, mi ha fatto assaggiare un vino che nasce sotto il Convento dell'Annunciata sul Monte Orfano, luogo dello spirito dal 1449 che lui, per una legge mai scritta che si rifà al “principio di restituzione”, ha salvato dalla possibile incuria. A San Damiano d'Asti invece la famiglia CarlindePaolo, ha ristrutturato il pilone dedicato a Maria Assunta, che domina i vigneti di barbera. Lo hanno fatto quattro fratelli, in memoria del loro papà Francesco, che tre anni fa, a 74 anni, li ha lasciati dopo un infarto, mentre portavano avanti un progetto nato dal nulla nel 2000.
Quanta bellezza, quanta determinazione, quanto senso di famiglia ho visto in queste storie che parlano di vino, non solo come consumo, ma come cultura, quando essa diventa la capacità di raccordare un particolare al tutto. Di questo si dovrebbe argomentare, mettendo a tema dell'agenda politica quei valori che ci uniscono e connotano, anziché i distinguo che dividono.