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Il viaggio inquieto

Roberto Mussapi giovedì 28 agosto 2014
«Tutti quegli uomini erano insieme da diciotto mesi circa, e la mia posizione era quella dell'unico straniero a bordo. (…) Ma ciò che più sentivo era il mio essere straniero alla nave. E, per dirla tutta, in qualche modo straniero a me stesso». Un giovane comandante di una nave ormeggiata in un porto orientale ha strani presentimenti, che si riveleranno fondati. Qualcosa di imprevisto e oscuro accadrà, un ospite inquietante sulla nave. Ma a noi interessa, ora all'inizio del romanzo di Joseph Conrad Il compagno segreto, riflettere sulle sensazioni che sta descrivendo. È il più giovane a bordo, per ragioni che definisce ininteressanti la storia, ha avuto il comando da quindici giorni. Non conosce nessuno degli uomini ai suoi ordini, nessuno a cui comunicare la sua improvvisa inquietudine, senza rischiare di perdere autorevolezza. Si sente estraneo a quella comunità, e quindi alla nave di cui ha il comando. E, di conseguenza, ammette, anche estraneo a se stesso. La nave, in tutta la letteratura di mare e prima ancora a livello simbolico, è la metafora dell'umanità in viaggio sui mari dell'esistenza; l'uomo estraneo alla comunità, se onesto, si sente anche in parte estraneo a se stesso, e timoroso di non essere all'altezza del suo compito. Come scrisse John Donne, nessun uomo è un'isola.