Per finire - finisce l'anno e finisce questa rubrica - ci vorrebbe uno di quei razzi che, a notte ormai tarda, solcano con un'ultima esplosione colorata i cieli bui delle nostre feste paesane, per dire che i fuochi d'artificio sono terminati: e con essi quei due tre giorni unici all'anno. Io un razzo così non ce l'ho. Ma ho trovato qualcos'altro cui affidare la conclusione, non solo di questi corsivi. Da circa due mesi, in un'edicola di giornali che frequento, è esposta una scatola di cartone adattata a salvadanaio, con un foro per le monete. Su questa scatola c'è scritto: «Per il viaggio di Mustafà». Mustafà (nome d'arte) è un giovane negro che conosco: un vucumprà, usava dire. E una volta l'anno visita la famiglia in Africa: a gennaio, quando il biglietto costa meno. Ci vogliono, tra andata e ritorno, più di mille euro: lui non ce li ha e gli amici lo aiutano. Ecco, a me piace dare l'ultima parola a Mustafà: a lui, alla moglie e ai figli bambini che si prepara a raggiungere; e anche a quanti gli sono solidali. «Dio amante della vita» leggo nel Libro della Sapienza - né conosco un Suo nome più bello: il cuore vero della vita batte dentro il faticato viaggio di Mustafà. E nel nome della vita - della vita sempre incandescente e memorabile, perché Dio la ama - finisce la mia procedura.