Il viaggio dell'antichità classica è di segno negativo e di esito per lo più infausto, perché viola i confini della natura: il volo di Icaro accostatosi troppo al sole, la spedizione degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro, il viaggio di Ulisse oltre le Colonne d'Ercole, lo sbandare di sbaglio in sbaglio di Edipo, l'andata all'Ade senza ritorno di Orfeo. Si aggiunga che il viaggiare per terra e per mare era ritenuto sintomo e simbolo di incapacità di stare con se stessi (levitas) e di instabilità interiore (inconstantia): coloro che fanno crociere, dice Orazio, cambiano il clima, non l'animo (Epistole 1, 11,27 caelum, non animum mutant, qui trans mare currunt). Bisognerà attendere Bacone, il fondatore della scienza moderna, per concepire le Colonne d'Ercole non più come una difesa ma come una barriera da infrangere. Per ogni uomo il viaggio non avrà mai né sosta né fine, perché alle estremità abbiamo piedi e non radici. Si viaggia perché si vuole o perché si deve, per speranza o per disperazione; e per l'innato desiderio di conoscere, per la nostra indelebile curiositas.
Un pensiero grato e caro a quanti mi hanno seguito in questo percorso di lettura e di meditazione, con l'augurio di continuare il proprio viaggio verso le alture del pensiero. Oltre l'immanenza e la saturazione del presente.