Si parla troppo poco di disoccupazione giovanile, del rapporto distorto che per forza di cose i giovani hanno con il lavoro – frastornati dalle merci e dalle illusioni indotte, dall’evasività e spesso inutilità della scuola, dalla corruzione e ipocrisia di tanti “datori di lavoro”, dalle chiacchiere di politici che badano a tutt’altro: dalla malafede degli adulti. Può stupire che, nonostante questo, la “delinquenza” minorile sia inferiore a quanto ci si potrebbe aspettare. Ho letto dunque con emozione, avendo fatto anch’io in passato esperienze simili, le riflessioni e memorie di Mario Tagliani, Il maestro dentro. Trent’anni tra i banchi di un carcere minorile (add editore) e ho ripensato a quel grande, grandissimo educatore che fu Fernand Deligny, autore negli anni del dopoguerra del libro più importante mai scritto sulla cosiddetta rieducazione dei ragazzi delinquenti, I vagabondi efficaci (Jaca Book dovrebbe finalmente decidersi a riproporlo). Si trattava, per Deligny come per Tagliani, di lavorare non per recuperare alle norme di una società ingiusta chi devia dalle sue norme, ma per recuperarli a un intervento fattivo e onesto in vista di una società migliore. Non sono pochi gli educatori che nei carceri si dedicano a quest’impresa, tra gli adulti o tra i minori, e le esperienze di Tagliani ne ricordano molte altre, e per questo sono esemplari e, per il lettore che le ignorasse, istruttive – ché tutti noi, credo, abbiamo bisogno di venir rieducati a principi e azioni più esigenti e più radicali… Tagliani lavora da trent’anni nel carcere minorile di Torino, il Ferrante Aporti, che ho avuto modo di visitare in anni lontani, prima ancora che nascesse proprio da lì il Gruppo Abele, poi cresciuto altrove e con altri progetti. I suoi ragazzi sono cambiati nel tempo – sono oggi soprattutto giovani immigrati e immigrate – e sono cambiati anche i reati o le situazioni rischiose che essi attraversano, una periodizzazione è possibile anche in questi ambiti e Tagliani la ricostruisce con partecipe comprensione. E soprattutto: «Se voglio aiutarli, devo fare in modo che i ragazzi abbiano fiducia in me, perché nella loro vita già piena di incertezze, un punto fermo, come può essere il maestro, deve continuare a esserci». Progetto minimo? Massimo.