Dato che la settimana scorsa mi è venuta l'idea piuttosto spericolata di riflettere in questa rubrica, cioè in poche righe, sui rapporti sempre più difficili fra cultura e politica, mi sento in dovere di aggiungere qualcosa. Almeno una: la presenza o l'assenza dell'attualità nell'insegnamento scolastico. Prendo spunto da un articolo di Franco Lorenzoni, Scuola: un futuro inquietante, uscito sul numero di luglio degli Asini, rivista il cui titolo sembra proprio ispirato a uno dei problemi più tradizionali, ossessivi e discussi della scuola, quello degli alunni svogliati, distratti, riluttanti e “poco adatti allo studio”, secondo la formula comodamente liquidatoria cara a ogni insegnante svogliato, distratto e “poco adatto all'insegnamento”. È nell'infanzia e nell'adolescenza che gli esseri umani entrano in contatto diretto e quotidiano con la cultura come viene intesa dallo Stato, cioè con «la cultura come amministrazione» (titolo di un noto saggio di Theodor W. Adorno). È qui che sono in gioco gli insegnanti in quanto intellettuali pubblici: da un lato istituzionalmente (amministrativamente) delegati alla formazione-educazione dei giovani, dall'altro impegnati di persona nella trasmissione del sapere, cognizioni e valori. Contrariamente a quello che si pensa (purtroppo anche fra gli interessati) il lavoro degli insegnanti è uno dei più intellettualmente complessi e socialmente carichi di responsabilità. Chi insegna è investito formalmente di una certa autorità, ma una sostanziale autorevolezza deve conquistarsela sul campo, giorno dopo giorno. Le cose più necessarie sono: attitudine comunicativa, percettività psicologica e una creatività culturale fondata sia sulla competenza che sull'immaginazione didattica e sull'autoanalisi. Un insegnante che non impari lui stesso qualcosa mentre insegna, non è un buon insegnante. Essendo un medium, un trasmettitore di vitalità culturale, è bene che eviti qualunque tipo di noia che non sia quella che serve a concentrare la mente per il tempo necessario a capire quello che non si sa, ma anche quello che si credeva di sapere. Il capire ha i suoi tempi e voler capire o imporre di capire in fretta, è sconsigliabile. Bisogna leggere ripetutamente, riflettere con calma e poi discutere liberamente senza smania di avere ragione. Lo spirito competitivo incrementa più la vanità che il perfezionismo. La verità non è proprietà esclusiva di nessuno. Infine: ogni materia di insegnamento offre una sua via d'accesso al presente, al passato e al futuro: la chimica come la storia, la letteratura come la biologia. E ciò che a prima vista sembra inattuale è utile almeno per una cosa: per giudicare meglio l'attuale.