Quello di Mihaela Gavrila e Massimiliano Padula è un lavoro prezioso. Perché il loro volume “Il futuro al centro” – Bambini e adolescenti nella scena mediale contemporanea (Egea) non è destinato solo a studiosi ed esperti del tema ma anche a genitori ed educatori che vogliono rimettere in fila (o scoprire per la prima volta) ciò che si è fatto e il tanto che non si è fatto e il molto che resta da fare sul tema media e minori nel digitale e non solo lì. Perché è vero che la popolazione soprattutto italiana invecchia sempre di più (tra vent’anni solo l’11,5% degli italiani sarà composto da bambini e ragazzi tra 0 e 14 anni) ma anche e soprattutto per questo dobbiamo tornare con forza a guardare ai più piccoli. Perché quello che abbiamo davanti non è un problema solo educativo ma anche cognitivo. Già oggi, in Italia, «6 milioni di bambini e adolescenti tra i 4 e i 17 anni (il 79,2% del totale) usano Internet e 1 milione e 400.000 hanno tra i 4 e i 10 anni, pari al 39,7% dei minori di quell’età». Andare online significa trovare di tutto. Ciò che è stato pensato per i più piccoli e la maggior parte dei contenuti che non sono adatti ai minori. Il tutto spesso senza la mediazione di un adulto. Tra i tanti meriti di questo lavoro c’è anche il fatto di avere il coraggio di sottolineare che per cambiare le cose dobbiamo anche superare una certa paura e una certa emotività che accompagna a volte il nostro modo di analizzare il digitale. Insomma, dobbiamo fermarci di più a conoscere e a riflettere invece che lasciarci prendere dalle emozioni e dalle mode. Scopriremo così, per esempio, come evidenziato dagli autori del volume, che non basta mettere i bambini davanti a YouTube Kids o ai canali per i più piccoli per sentirci tranquilli. Troppi e troppo spesso dimentichiamo che sotto i 2 anni i bambini non dovrebbero guardare video (tra i 0 e i 4 anni «lo fanno per 3-4 ore al giorno, secondo una ricerca Usa). Non solo. Persino i contenuti educativi possono fare danni. Sotto una certa età, infatti, «generano problemi di sviluppo e ritardo nell’apprendimento del linguaggio». E i bambini in età scolare «che hanno guardato spesso programmi video nei primi due o tre anni di vita hanno performance più deboli nei test di memoria e lettura, dimostrando anche una più scarsa attenzione e capacità di concentrazione».
Sono dati che fanno riflettere e possono persino inquietare. Ma, ci dice questo prezioso volume, dobbiamo sforzarci a non cadere nella spirale della paura che attanaglia molte parti del nostro vivere. Dai cambiamenti climatici alle migrazioni, dalla criminalità alle guerre per non parlare degli effetti che la pandemia ha lasciato soprattutto nei più piccoli e nei più fragili. Per Mihaela Gavrila e Massimiliano Padula «affermare (come spesso facciamo noi adulti - ndr) che la colpa è di Internet significa autoaccusarsi, dichiararsi colpevoli perché i media siamo (diventati) noi». Questo significa che dobbiamo ripensare a come educarci ed educare all’uso dei media digitali e non. Si tratta di «rispolverare» un patrimonio già esistente nei bambini e nei ragazzi: regole, conoscenze, sensibilità, percezioni e soprattutto qualità positive che possono renderli cittadini fisici e digitali competenti in umanità, coscienti dei rischi, in grado di produrre e consumare consapevolmente e di tutelare corresponsabilmente gli spazi mediali. Si tratta, dunque, di passare da una Media Education a una Life Education».
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