Il 4 aprile il Garante per la protezione dei dati personali ha disposto, con effetto immediato, la limitazione provvisoria del trattamento dei dati degli utenti italiani nei confronti di OpenAI, la società statunitense che ha sviluppato e gestisce la piattaforma. L’Autorità ha contestualmente aperto un’istruttoria. ChatGpt – che è l’acronimo di Chat Generative Pre-trained Transformer – è un un prototipo di risponditore automatico – bot – sviluppato da OpenAI di cui Avvenire ha già parlato più volte, anche a mia firma. ChatGpt in quanto chatbot è in grado di esprimere una conversazione al pari di un umano dialogando con l’utente via testo come si farebbe con un’altra persona con app come Whatsapp.
La scelta del Garante ha subito polarizzato il Web. Da una parte si sono schierati tutti coloro che vedono nella sua azione una tutela dagli esiti non certi di questa tecnologia, dall’altra chi vede in questa scelta una sorta di oscurantismo anti-tecnologico che ci farà restare indietro nella competizione tecnologica globale. Io stesso, per gioco, ho fatto scrivere a ChatGpt una scherzosa risposta al Garante e l’ho pubblicata sui social. Le numerosissime risposte degli utenti e le reazioni, anche di alcune testate online, mi hanno sorpreso per numero e animosità. A giudizio di chi scrive entrambe le posizioni sono esagerate e non leggono bene quelle che sono le intenzioni del Garante, che non vuole né perseguitare un’azienda né preoccuparsi degli esiti futuri della tecnologia ma garantire i consumatori italiani in un mercato che vede l’addensarsi di poteri in mano a sempre meno soggetti tecnologicamente forti. Allora forse converrebbe ricordare le parole che profeticamente papa Francesco ha pronunciato pochi giorni prima dell’accaduto: «Mi preoccupa il fatto che i dati finora raccolti sembrano suggerire che le tecnologie digitali siano servite ad aumentare le disuguaglianze nel mondo. Non solo le differenze di ricchezza materiale, che pure sono importanti, ma anche quelle di accesso all’influenza politica e sociale. Ci chiediamo: le nostre istituzioni nazionali e internazionali sono in grado di ritenere le aziende tecnologiche responsabili dell’impatto sociale e culturale dei loro prodotti?» (Francesco ai partecipanti all’incontro dei Minerva Dialogues promosso dal Dicastero per la Cultura e l'Educazione, 27 marzo 2023). Per chi come noi ha a cuore la vita nel tempo del digitale, la domanda di fondo, la questione algoretica, è come sempre una: di fronte a poteri che possano essere economici, politici o tecnologici quanto vale una persona? E come possiamo proteggere la dignità dell’uomo in un mondo che conosce più il valore dei dati che non quello della vita?
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