Era una sera d'estate del '39. Una corriera saliva da Parma verso il primo Appennino, piena di giovani che andavano a ballare. Mi immagino il vociare, le risa, le ragazze che estraendo uno specchietto dalla borsa si ritoccavano il rossetto. La guerra incombeva, ma loro ancora non sapevano. Guardavano le ragazze, quelli che sarebbero stati chiamati al fronte. Il lungo tramonto di luglio si spegneva nella notte. La corriera andava. C'era un tornante, sulla strada, particolarmente stretto. Forse l'autista non rallentò abbastanza. Quelli che viaggiavano in piedi persero l'equilibrio. Tonfi, gomitate, risa. Poi, la voce allegra e tonante di uno bruno, magro: «Avete visto? La più bella è caduta in braccio a me!». Mi immagino che la ragazza esile e bionda precipitata addosso a uno sconosciuto sia arrossita, mentre tutti ridevano, e subito si sia rialzata. Ma quello con la voce tonante, in realtà timido, si fece coraggio: come ti chiami, domandò. E in quel breve scambio la vita, che stava aspettando, si fece strada. Il ragazzo scrisse alla bionda esile per tutti gli anni della guerra. Si sposarono non appena la terribile eclisse finì. Mio padre e mia madre. Il destino di una famiglia ventura, e mio e dei nostri figli, in una curva. «Avete visto? La più bella è caduta in braccio a me».