Milano. Quando vado dalle parti di Brera, non passo mai dalla piccola via Goito. La evito sempre, accuratamente, addirittura la circumnavigo. C'è il mio liceo lì. Identico. A parte la facciata: le scritte che esaltavano negli anni 70 la dittatura del proletariato non ci sono più. Non passo mai da via Goito perché mi si apre una crepa nel cuore. So che le scale che scendevamo di corsa, felici, allo squillo della campana dell'ultima ora, sono uguali. Uguali gli ampi corridoi in cui all'intervallo si incrociavano fra noi adolescenti gli sguardi, e i primi amori. Ci dicevamo tutte femministe. Chi era, però, la più bella del Parini? Questa domanda politicamente scorretta appassionava assai di più delle nobili questioni politiche sollevate in assemblea, fra gli applausi e i fischi. (Ma ora penso a tutto questo con tenerezza, come al morbillo dei bambini cui, anni dopo, si guarda dicendosi: che bello, quando tutti i problemi erano lì).Le scale, dunque, le scale mi tornano sempre in mente, me le sogno anche, quei gradini di marmo calpestati prima di noi da generazioni di studenti. E l'aula magna in cui risuonava il Verbo di un marxismo immaginario – fra noi viziati figli di borghesi. E il laboratorio di scienze, pieno di alambicchi e di strani complicati strumenti per misurare ogni fenomeno fisico: il luogo, mi pareva, dove finalmente la Verità era una e incontestabile, mentre nelle ore di filosofia ondeggiava, vacillava, evaporava come nebbia. La palestra, certo è ancora lì. Curioso come risenta esattamente, quasi quarant'anni dopo, il tonfo sul linoleum del pallone della pallacanestro. Come riveda l'atrio dalle linee littorie, e il sottoscala in cui durante le assemblee io, quanto a marxismo fredda, me ne stavo a contemplare accucciata, devotamente, le cucciolate della gatta del portiere. E tutto, ne sono certa, fra quelle mura è uguale. Evito quella via di Brera perché mi ferisce la eterna giovinezza delle cose – mentre noi passiamo. Più invecchio e più il mistero del tempo mi pesa. Che strana spaventevole dimensione il tempo, che all'apparenza ci divora. Benedetto XVI, in uno dei suoi ultimi discorsi, ha detto una parola che mi è rimasta in mente. «L'eterno presente di Dio», ha detto. E io mi sono immaginata il tempo come una sfera con Dio al centro, e ogni momento della storia in Lui contemporaneo e equidistante, e vivo. E noi ragazzi del liceo Parini degli anni 70 ancora lì – belli, ridenti, presuntosi, ignari.