Debora ha sempre amato insegnare, per realizzare un sogno che coltivava fin da bambina. Poi un mostro chiamato anoressia l'aveva trascinata sull'orlo del baratro, privandola del sorriso che sempre l'accompagnava. E una notte infelice le aveva rubato un pezzo della vista, fino a una diagnosi che suonava come una condanna: ictus. «Se mi succede qualcosa, raccogliete le mie poesie», aveva detto agli amici: è lì che aveva fissato le gioie e i dolori di un'esistenza sempre tesa a cercare l'ebbrezza della felicità e a comunicarla ai giovani. In pochi mesi con l'aiuto dei medici era riuscita a risalire la china, fino al ritorno a scuola, all'istituto Gadda di Fornovo (Parma), dove ha deciso di rimettersi in gioco. Sarebbe stata capace di farlo?, si chiedeva con tremore quando in dicembre era entrata in una classe sconosciuta. Sono stati loro, gli studenti, la migliore medicina per guarire, hanno acceso nuovamente la passione di insegnare che nessun dolore aveva potuto cancellare. È stando in mezzo a loro che ha ritrovato il gusto per un mestiere bello e complicato, diventato per lei una ragione di vita. Ora non vede l'ora di ricominciare la scuola. «I ragazzi insegnano a me ogni giorno più di quanto io potrò mai insegnare loro. È nei loro sorrisi che l'ho ritrovato, il sorriso di Dio».