Il sindaco non può essere un mestiere: meglio i «dilettanti»
Si tratta di un bel segno, che mi guardo bene dallo smentire; confermo, anzi, che metter mano al bene comune è sempre lodevole intento. Dissento però da Nicole, che avendo 7 anni nelle liste non può ancora entrarci e tuttavia ha scritto al primo cittadino della sua città (Bari) una letterina tosto ripresa con lode dai giornali: «Caro sindaco, da grande vorrei fare il tuo mestiere: mi dici che scuola devo frequentare?». Persino l'illustre collega Massimo Gramellini l'ha commentata, scrivendo che – se oggi «il pensiero dominante suggerisce che la politica è diventata il quarto d'ora del dilettante: tutti possono farla» – in realtà, «la politica non è solo una missione, ma un mestiere. E, come tale, richiede conoscenze che si imparano con lo studio e la pratica».
Beh, cara Nicole e caro Massimo, non sono del tutto d'accordo. Non sono infatti convinto che la politica sia (o debba essere) un mestiere, almeno a livello di amministrazioni locali, e che dunque si debba studiare in appositi corsi "da sindaco". Quello che voi auspicate è solo una parte del giusto, vorrei però ricordare anche il lato sgradevole dell'assioma: se infatti uno la politica la fa "per mestiere", è inevitabile che debba ricavarci da vivere; e se deve viverci – possibilmente per 30 o 40 anni –, è del pari inevitabile che debba farsi rieleggere più o meno "per forza"; e se deve essere obbligatoriamente confermato, è infine inevitabile che... la democrazia, il ricambio, gli ideali e compagnia bella debbano essere subordinati alla sua primaria necessità di guadagnarsi il pane con – appunto – un mestiere.
Ognun vede dunque il rischio di tale situazione: se pretendiamo dei "tecnici" competenti a capo dei nostri enti pubblici, dobbiamo essere disposti ad offrire quello che correttamente loro compete (paga, contributi, buonuscite, una certa continuità, eccetera), così come avviene nel mitico "settore privato"; altrimenti dobbiamo accontentarci di coloro che Gramellini chiama «dilettanti».
Non si può insomma avere il sindaco "scienziato" e pure gratis: a meno di casi del tutto particolari (oppure di situazioni truffaldine fin dalle premesse); invece è quello che in Italia assurdamente si pretende. D'altra parte far diventare la politica – e qui si allude a ogni livello, anche ai più alti – "un mestiere", significherebbe pensare in modo radicalmente diverso tutta la democrazia: perché infatti "eleggere" dei "rappresentanti"? Meglio fare concorsi pubblici per scegliere su base paritaria "i più competenti"...
Per questo, cara Nicole e caro Massimo, tirate le somme, tra i due rischi preferisco restare coi politici "dilettanti". E vi dico perché: perché le persone intelligenti le competenze possono anche acquisirle; perché i "tecnici" nella struttura della Pubblica amministrazione ci sono (o ci dovrebbero essere) già; perché non è detto che il volontariato sia meno efficace; perché vorrei proteggere la democrazia di popolo dai mestieranti inamovibili; perché credo che il compito vero di un politico sia rappresentare e non tanto trovare soluzioni; perché infine un sindaco che guadagna meno di quel che merita (parlo sempre di persone oneste: per gli altri dev'esserci la magistratura) o lo fa per passione vera, oppure dopo un po' smette di farlo: e questo è già garanzia di un'azione disinteressata.
Perciò, Nicole, studia pure da maestra o da parrucchiera, però non abbandonare l'idea di fare la sindaca; se avrai un altro mestiere, ti sarà anche più facile essere distaccata dal "potere" – e dunque più onesta.
r.beretta@avvenire.it