Come lo scienziato Stephen Hawking, secondo cui la creazione non ha bisogno di Colui che spiega se non il "come" scientifico, almeno il "perché" del creato, così pensa anche Corrado Augias (però a un livello molto diverso). Ad alcuni lettori i quali, avendo letto le fuorvianti riduzioni giornalistiche del messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Gioventù, si sentivano «offesi» perché Benedetto XVI avrebbe detto che «la fede è più importante del posto fisso», Augias risponde (giovedì 9) che «il papa ha di nuovo inciampato in quel distacco dai problemi reali che sono il vero handicap della Chiesa di Roma. Le alte gerarchie dovrebbero cominciare a pensarci. Perché non lo fanno? Non ne sono capaci?». Questi interrogativi vanno rivolti a chi li pone. I "laici" che rifiutano l'esistenza di una realtà soprannaturale sono, proprio per questo, nell'impossibilità di comprendere il senso delle cose e della vita, lavoro e fede compresi. E poi nessun'altra realtà al mondo è da duemila anni vicina ai problemi reali della gente come la Chiesa con la sua rete fittissima di parrocchie, istituzioni benefiche e assistenziali, culturali, scuole, associazioni, con la sua attività pastorale e sacramentale e con un magistero e una dottrina sociale secolari e sperimentati. Sul sito "il sussidiario.net", uno scienziato cristiano come Roberto Colombo ha ricordato (venerdì 10) che, «in un famoso film western, John Wayne fa dire al personaggio da lui interpretato, che non rinunciava a lottare contro le avversità della vita che si accanivano su di lui: "Bisogna pur avere una ragione per alzarsi la mattina". Una società la cui cultura dominante esclude dall'orizzonte della vita il Mistero, ciò di cui tutto è fatto e cui tutto tende, non favorisce la scoperta di una ragione per la quale alzarsi il mattino». Cari amici laici, lo capiscono perfino i cow boy: la questione è solo di comprendonio.
MAMME-NONNE
Per smontare ogni critica alla maternità 54enne di Gianna Nannini La Repubblica (mercoledì 8) ha interpellato Claudia, figlia 15enne di una «mamma-nonna» (58 anni al parto, 73 oggi), di cui, naturalmente, fa ogni elogio. L'ha voluta «a tutti i costi per stringere di nuovo tra le braccia un bambino dopo aver perso un figlio» e c'è riuscita «dopo la terza inseminazione» (eterologa: 18 anni fa si poteva fare). Non ha parlato, però, del numero degli embrioni "fratelli" fatti morire per quelle tre inseminazioni: una strage minuscola soltanto nelle dimensioni fisiche delle vittime, non in quella etica. Tanto meno ha considerato che i donatori di gameti (le donatrici, vale a dire le vere mamme e, anche qui, se non penalmente, almeno eticamente) sono colpevoli di abbandono di minori (art. 591 CP: «Chiunque abbandona una persona minore degli anni 14 [...] è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni [...] da tre a otto anni se ne deriva la morte [...] aumentati se il fatto è commesso dal genitore...»).