L'autrice di un libro ormai famoso come Analitici e continentali uscito nel 1997, Franca D'Agostini, è fra tutti i filosofi italiani oggi attivi la più interessata alla verità. Al concetto di verità, alla “funzione verità” ha dedicato vari lavori, fra cui Paradossi (Carocci), Disavventure della verità (Einaudi), Verità avvelenata (Bollati Boringhieri). Nel suo studio sui filosofi analitici e quelli continentali aveva descritto i due territori nei quali abitano autori notevolmente diversi se non inconciliabili: quelli che dalla prima alla seconda metà del Novecento sono stati prevalenti in Europa, soprattutto in Germania e Francia (fra ontologia, sociologia critica ed ermeneutica) e quelli tipicamente anglosassoni (fra epistemologia, etica e logica). Ma invece che limitarsi a una scelta di appartenenza all'una o all'altra maniera di formulare problemi filosofici, incrementando una già deplorevole incomunicabilità fra le due scuole, Franca D'Agostini ha preferito mettere al centro della sua riflessione più un problema che un metodo: il problema della verità, che nessun filosofo e nessun essere umano può e vuole trascurare. Nella ricerca della verità, il che cosa siamo, il che cosa vogliamo e il che cosa sappiamo sono interrogativi non separabili. Se la logica e la teoria della conoscenza giusta e vera ci interessano, è perché abbiamo moralmente deciso che la verità è un bene e la menzogna è un male. Come è noto, solo il diavolo usa la logica per ingannare. L'eccellente editoriale che D'Agostini ha pubblicato domenica 6 ottobre sulla “Lettura” (La verità! Tutte le verità!) si apre con queste parole: «L'idea che il mondo contemporaneo abbia anzitutto un “problema di verità” è diventata un'idea dominante in discorsi pubblici». E poi: «Perché abbiamo ancora la “volontà di verità” (che Nietzsche giudicava discutibile) e non ci siamo arresi allo tsunami dell'informazione digitalizzata?». Non tutto quello che sembra vero, che circola come informazione credibile, è vero. Un vecchio pregiudizio ritiene che parlare di verità significhi cedere al dogmatismo, a un modo di pensare autoritario, rigido e statico. Secondo D'Agostini è vero il contrario. La verità non è un oggetto dato, è invece una funzione conoscitiva, è il risultato di una ricerca, è un lavoro e una scoperta del pensiero che ha deciso di rivelare ciò che le apparenze nascondono e gli errori negano: «Perché il nostro incontro con il mondo, con la realtà, non fallisca». Direi che il problema è socialmente, moralmente e politicamente proprio qui: chi ha bisogno della verità? chi la vuole, chi non la vuole e ha bisogno del suo contrario? Il potere, i poteri che hanno anzitutto bisogno di controllare la vita sociale controllando il pensiero, ma anche tutti coloro che amano o temono per prima cosa il potere, hanno bisogno solo di verità momentaneamente utili ai loro scopi. La ricerca della verità ha perciò molti e vari nemici possibili. I primi sono l'indifferenza al valore della verità e la scelta di valori diversi come il benessere e la sicurezza. Da secoli, da millenni fra società e verità il conflitto è aperto.