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Il ritorno del credito agrario

Vittorio Spinelli sabato 23 ottobre 2004
Una volta esisteva il credito agrario. Poi questa modalità di finanziamento dell'agricoltura venne cancellata dati tempi e dalla politica europea. Adesso, dopo anni di oblio, le banche sembrano tornare ad interessarsi alle esigenze di investimento delle imprese. Ma in una maniera diversa. è un dato che occorre rilevare, anche perché tocca uno dei nervi sensibili del comparto agroalimentare: quello dell'innovazione e della ricerca. Dopo aver contribuito per anni alla crescita strutturale e dimensionale dell'agricoltura, il credito dedicato al settore era stato cancellato e fatto rientrare nell'ambito delle normali attività di credito bancario alle imprese. Nel frattempo, la politica agricola comune aveva già aperto nuove possibilità di finanziamento dell'attività agroalimentare. Ma, quasi contemporaneamente, le debolezze finanziare delle imprese agricole si sono manifestate in tutta la loro interezza. Tanto da far salire, periodicamente, la tensione fra istituti di credito e agricoltori. Intanto, la concorrenza di altre agricolture, il mutare della composizione della domanda, la crescita dei costi, il cambiamento della congiuntura economica, la diminuzione dei margini e la complicazione delle catene distributive hanno posto gli agricoltori davanti a nuove esigenze. La partita sui mercati si vince oggi con una competitività nuova rispetto al passato. Non basta più avere i soldi per costruire stalle e serre, occorre anche averli per capire esattamente cosa allevarvi e cosa coltivarvi. Da questo punto di vista, gli strumenti della ricerca e dell'innovazione tecnologica si sono dimostrati sempre più necessari, ma sempre più irraggiungibili da parte delle piccole imprese agricole. La trasformazione del credito agrario sembra adesso toccare anche questi aspetti. Uno dei più importanti gruppi bancari europei - il San Paolo IMI - ha deciso infatti di usare parte di un plafond di 250 milioni di euro destinato al credito per l'innovazione nelle imprese, anche all'agroalimentare. Ad essere privilegiati, alcuni dei punti deboli dell'agricoltura italiana: la produzione di tipo industriale, lo sviluppo delle tecniche di commercializzazione e packaging, quello di sistemi di certificazione e tracciabilità del prodotto, il più generale rispetto per l'ambiente e del territorio. Insomma, quello che fino a poco tempo fa era appannaggio quasi esclusivo degli istituti di ricerca pubblici, adesso potrebbe diventare più alla portata di mano delle imprese. Da questo punto di vista, il riordino della ricerca in agricoltura, avvenuto almeno formalmente con la creazione del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura che dovrà mettere mano alla razionalizzazione delle attività, fa ben sperare in qualche passo in avanti. Più soldi alla ricerca, e più soldi spesi bene per la ricerca, magari anche soldi "privati", potrebbero costituire uno strumento efficace per tantare seriamente di vincere sui mercati nazionali e internazionali.