IL RITO E IL SIMBOLO
Così scriveva nel 1765 Denis Diderot, una delle figure emblematiche dell"Illuminismo, direttore della celebre Encyclopédie e critico nei confronti della religione. Mi viene in mente questa sua riflessione sul rito e sui simboli all"indomani delle tradizionali manifestazioni della festa della Liberazione, coi vari cortei, coi discorsi, con le musiche e gli omaggi floreali ai caduti. Ora, la liturgia cristiana che ha secoli alle spalle è indubbiamente più «grande, misteriosa e solenne», come dice Diderot, e ci permette una duplice (e antitetica) considerazione. Da un lato, è facile e giusto schierarsi dalla parte di tutti coloro - e molti vescovi e sacerdoti lo fanno con coraggio - che vogliono purificare riti e costumi religiosi popolari da detriti pagani, da sprechi colossali, da un sacralismo fine a se stesso. Sappiamo quanto severi fossero al riguardo i profeti: «Io detesto, respingo le vostre feste - dice il Signore -; lontano da me il frastuono dei tuoi canti, il suono delle tue arpe non posso sentirlo! Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne» (Amos 5, 21-24). D"altro lato, però, il rito e il simbolo sono segni viventi di una cultura, parole immediate di una spiritualità sincera, espressione di identità e manifestazione dell"incarnazione del cristianesimo nella vita e nella storia.