Il rientro di lavoratori extracomunitari nei paesi d'origine, sia volontario sia per espulsione, produce effetti previdenziali non meno rilevanti di quelli che accompagnano il regolare soggiorno in Italia. La riforma Dini aveva previsto che, al momento del rimpatrio, fossero restituiti al lavoratore extracomunitario tutti i contributi lavorativi, compresa la quota a carico del datore del lavoro, il tutto maggiorato con un interesse del 5%. Un trattamento molto generoso e favorevole per gli interessati, percepito però come odioso ed ingiusto da migliaia di lavoratori italiani in pari condizioni lavorative.
La legge 189 del 2002 ha pertanto annullato il super rimborso, garantendo però ai lavoratori extracomunitari, colf e badanti, i diritti previdenziali maturati durante il periodo della loro presenza in Italia. I relativi contributi dovuti per tutti i rapporti di lavoro, sia regolari sia irregolari, vengono ora conservati dagli enti previdenziali e congelati a disposizione degli interessati. Saranno utilizzabili per ottenere la pensione di vecchiaia, calcolata con il sistema contributivo, al compimento dei 65 anni di età «anche in deroga al requisito contributivo minimo», vale a dire cinque anni di versamenti effettivi. L'Inps ha regolato gli aspetti di sua competenza nella circolare n. 45 del 28 febbraio scorso. Le regole sulla materia sono ora completate dall'Inpdap, che aggiunge importanti precisazioni con la nota n. 47 del 24 ottobre scorso. La garanzia della pensione di vecchiaia a 65 anni, prevista dalla legge 189 per uomini e donne anche in difetto dei contributi minimi, può, infatti, realizzarsi presso l'Inpdap solo se il lavoratore interessato ha iniziato a lavorare dopo il 1996, avendo così diritto alla pensione calcolata col sistema contributivo.
La situazione cambia se l'immigrato matura una pensione da liquidare nel sistema retributivo oppure misto, avendo iniziato a lavorare prima del 1996. Il questo caso, l'ordinamento dell'Inpdap prevede il diritto alla pensione solo quando, cessando il lavoro, col requisito contributivo sussiste in quel momento anche quello dell'età. Pertanto, i lavoratori rimpatriati che hanno cessato di lavorare senza avere i requisiti congiunti di età e di contribuzione, non hanno diritto alla pensione dell'Inpdap; possono però chiedere il trasferimento di tutti i contributi presso l'Inps, facoltà a carattere generale prevista dalla l. 322 del '58.
Riguardo al trattamento da riservare all'extracomunitario rimpatriato e poi deceduto, l'Inpdap precisa che, se il decesso avviene prima del compimento dell'età pensionabile, i familiari superstiti possono richiedere solo la liquidazione dell'indennità una tantum; se invece interviene dopo i 65 anni spetta, sempre su domanda, la normale pensione di reversibilità seguendo i criteri generali. Rientrano nella disciplina dell'Inpdap anche gli extracomunitari che svolgono lavori occasionali o saltuari presso strutture pubbliche.