Rubriche

Il reality contadino banalizza l'amore

Andrea Fagioli venerdì 26 ottobre 2018
Il bello o il brutto di una rubrica di critica televisiva è che ti permette i salti mortali. Ieri parlavamo del Papa e dell'Ave Maria, oggi di Diletta Leotta e del dating show Il contadino cerca moglie. È anche un modo per dimostrare che esiste la buona e la cattiva tv, che gli esempi in un verso e nell'altro potrebbero essere tanti, che i telespettatori non hanno più scuse: l'offerta è tale che si può scegliere, ma se non si sceglie o si sceglie male la colpa non è solo di chi fa cattiva televisione, ma anche di chi se la va a cercare. Saltiamo dunque da Tv2000 a FoxLife (canale 114 di Sky) per la quarta stagione, il mercoledì alle 21.10, del reality agreste che dopo l'esordio con Simona Ventura e il biennio a guida Ilenia Lazzarin accoglie ora la conduzione della giornalista diventata popolare con le trasmissioni sportive di Sky e con le tante ospitate degli ultimi tempi, da Sanremo a Miss Italia. Quale valore aggiunto abbia portato la Leotta non è chiaro, a parte una conduzione forse meno aggressiva delle precedenti. Ancor più difficile capire perché abbia accettato una proposta del genere, anche se il programma che annuncia di “coltivare l'amore” non è il peggiore in assoluto, sempre che si escluda la fase iniziale con quella sorta di mercato delle vacche che è la selezione di chi portare in campagna, nonostante i contadini siamo sempre meno contadini. In questa serie compaiono coltivatori di kiwi gialli con casa vista mare o proprietari di bed & breakfast con animali più o meno domestici. Persone che hanno ben poco a che spartire con terra e concime, sempre che ne abbiano a che fare davvero anche gli altri. Come tutti i reality c'è molta scrittura e poca improvvisazione. E dopo il contadino gay di passate edizioni, questa volta, insieme ai contadini in cerca di moglie c'è anche la contadina che fa altrettanto. Ma è nell'insieme che il programma, come detto altre volte, propone un concetto distorto e banalizzante dell'amore. Quel poco che si salva corrisponde alla parte in cui i pretendenti, che vivono tutti in città, si mettono in gioco con un lavoro “sporco”. Si salvano anche e soprattutto i paesaggi, ma non bastano certo a tirar su le sorti di un format che nonostante tutto spopola in trenta Paesi del mondo. A questo punto, a mettersi una mano sulla coscienza devono essere proprio i telespettatori.