La poesia moderna, dai primi dell'Ottocento agli anni ottanta del Novecento, ha dato alla cultura occidentale alcuni dei suoi intellettuali, moralisti e critici sociali più lucidi e acuti, da Coleridge, Leopardi, Heine e Baudelaire fino a Machado, Valéry, Eliot, Montale, Auden, Octavio Paz, Pasolini, Enzensberger... Poeti autenticamente moderni proprio in quanto critici del tipo umano e della vita sociale creati dalla modernità borghese-capitalistica, ossessionata dal denaro, dal lavoro solo in quanto produzione in crescita e dalla vita privata solo in quanto consumo vistoso e veloce di merci da sostituire con nuove merci. Si sono subito resi conto, quei poeti intellettuali, che la tradizione umanistica, religiosa, morale, civile, era minacciata dalla forma sociale creata dal capitalismo, il cui efficiente funzionamento era diventato non un mezzo ma un fine, il solo fine da perseguire con ogni mezzo: legale, se possibile, illegale e immorale in caso contrario. Soprattutto dopo la crisi del marxismo, che è stato inteso per un secolo come il maggiore, se non l'unico, strumento di critica del capitalismo, ci si può accorgere che la critica sociale dei poeti moderni era stata non meno, anzi a volte più radicale proprio perché culturale e individuale. Oggi che lo stesso mondo della cultura è sempre più dominato dal feticismo delle merci e dalla loro pubblicità, la critica culturale della società, del modo di vivere e dei valori dominanti, è più necessaria che mai. Il prologo "Al lettore" che apre I fiori del male, il capolavoro poetico di Baudelaire, è un appassionato, eloquente sermone morale sull'inferno moderno, nel cui primo verso sono enumerati i più insidiosi e assillanti mali di cui prendere coscienza: la stupidità, il vizio, l'errore e l'avarizia, mentre nell'ultima strofa compare quel "mostro delicato" che è l'annoiarsi, il fantasticare e l'ipocrisia di chi non sa leggere questi mali in sé stesso. In un saggio dedicato alla morale, è detto che la volontà è la facoltà più preziosa e bisogna stare attenti a evitare che si indebolisca. Viene denunciato l'odio che si nasconde dietro «il gusto della distruzione e dell'abbondanza». Ma è sulla falsa idea di progresso che Baudelaire, come Leopardi, è davvero chiaroveggente: «Perché esista una legge del progresso, bisognerebbe che ciascuno volesse crearla, cioè che quando tutti gli individui si applicheranno a progredire, l'umanità sarà in progresso». La società non migliora, se gli individui non si migliorano.