Guardare al passato senza voltargli le spalle. Guardarlo diritto negli occhi, invece, perché è dalla frontalità dello sguardo che la memoria scalzando la nostalgia può farsi esperienza. Un uomo osserva fisso una mucca, e nella pupilla dilatata dell’animale trova riflessi i propri ricordi. Vede in quell’occhio una donna accovacciata nel gesto di mungere, e condensato nella stessa figura rivede e ripercorre il tempo di prima, lungo tempo trascorso in un povero villaggio di campagna. Io e il villaggio il titolo di un quadro con cui March Chagall rievoca la sua infanzia passata in Bielorussia. Al centro della tela, un semi invisibile filo arcuato che come un ponte connette le due orbite oculari, dell’uomo e dell’animale. Nell’occhio della mucca un bagliore di un bianco perlaceo si riflette in quello dell’uomo e lo riverbera nello stesso momento in cui lo assorbe. Tutto dell’atmosfera è trasognato, dice un incanto pervaso di simboli (c’è anche un’eclissi di luna, affacciata in un angolo del quadro). Nella simmetria di sguardi, l’umano e l’animale, giusto nel mezzo sta una donna affacciata a una finestrina, lei pure con occhi spalancati e penetranti, fissi su quel mutuo fissarsi. Occhi che nel mentre guardano, ricordano, comprendono e nulla dimenticano, di quel prima davanti a sé.
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