La globalizzazione e il suo profeta Internet hanno svelato la sterminata prateria dello spazio e disteso la rete dell'intero mondo (www), consentendo la totale e simultanea connessione tra il qui e l'altrove, tra noi e gli altri. Ma lo spazio ha messo all'angolo, sacrificato e divorato il tempo: la nostra dimensione costitutiva. Noi siamo essenzialmente tempo: nasciamo, cresciamo, tramontiamo; e con noi quanto e quanti ci circondano. Perché, come ha detto anche papa Francesco, il tempo è superiore allo spazio? Perché lo spazio, concluso e statico, è la sommatoria delle forze e realtà del presente; il tempo, al contrario, aperto e dinamico, riannoda i fili sia del passato, e quindi della memoria e della riconoscenza verso i trapassati, sia del futuro, e quindi del progetto ("lo slancio in avanti") e della responsabilità verso i nascituri. Possiamo sopportare la contraddizione di essere giganti e planetari col web, nani e provinciali col tempo? A pagare il prezzo più alto di questa cesura e censura del tempo sono i giovani, i quali trovano staccata la spina della storia; e scontano l'impatto di una simultaneità tanto assoluta quanto effimera. Senza più il pathos della distanza e l'eros della differenza, restano avvolti nelle spire del presente e vivono «l'Inferno dell'Uguale" (Byunh-Chul Han).