Francia, Germania e Polonia sembrano oggi un vecchio tricorno del ventesimo secolo. Queste nazioni dovrebbero essere riunite sotto la comune insegna europea. Ma il condizionale è d'obbligo. Tadeusz Borowski, l'autore di Paesaggio dopo la battaglia, straordinaria testimonianza dello sterminio nazista, lo vidi trasfigurato a Varsavia in certi adolescenti che giocavano sotto le case in costruzione nei dintorni del museo dell'Insurrezione. Visitai anche la sua tomba, ordinaria in mezzo a tutte le altre in un ritaglio di giardino. Fra i tanti scrittori concentrazionari è lui quello che resta nella mia memoria come una domanda inevasa, forse l'unico in grado di andare al centro dell'orrore, senza illudersi di poterne uscire indenne: il compagno Beta, nel ritratto che gli tributò Czeslaw Milosz in La mente prigioniera. Nella capitale polacca andai alla ricerca del condominio dove Krzysztof Kieslowski aveva girato il Decalogo, ma era chiuso. Gettai un'occhiata al suo interno nel tentativo di vedere il laghetto ghiacciato nei cui flutti annega il bambino del primo episodio. Cercavo gli angeli vagabondi che stanno al freddo sui marciapiedi, coi cappotti chiusi fin al collo per proteggersi dal freddo, ai quali il grande regista aveva affidato il compito di avvertirci dei pericoli davanti a noi.