«Passare dalla morte alla Vita può significare solo questo: amare l’Altro. Il che equivale a dire che l’amore vero è amore del non-amabile». Così il teologo francese Dominique Collin nel suo Il Vangelo inaudito (Queriniana).
Quello che Collin argomenta, lo incontriamo in un passaggio del formidabile romanzo La buona guerra (Einaudi) di Phil Klay, ambientato nella crudele guerra civile colombiana. Abel, un guerrigliero, tortura e ammazza il padre di Luisa, una ragazza indifesa. Qualche tempo dopo, Abel cerca di rifarsi una vita. E si trova davanti, lavorando per una fondazione che sostiene il riscatto degli ex guerriglieri, proprio quell’Abel: «Il suo primo impulso era stato scappare. Ma poi Luisa aveva alzato gli occhi e lo aveva visto. Da principio il suo sguardo aveva espresso solo la constatazione professionale della presenza di Abel. Poi un breve momento di confusione mentre si sforzava di riconoscerlo. Lui aveva trattenuto il fiato ed era rimasto immobile. E poi Luisa aveva spalancato un po’ gli occhi. Lo aveva riconosciuto. Sapeva chi era. Sapeva di cosa era colpevole». Luisa sa amare il non amabile: «Quando lui le disse che non voleva tornare a combattere, lei gli disse che era una scelta onorevole, e quando le disse che voleva aprire un negozio con un prestito dell’agenzia di reintegrazione, lei gli disse che lo avrebbe aiutato». La vittima che perdona concretamente il colpevole. Ecco il Vangelo, nella realtà.
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