Una ricchezza fatta di sapienza e storia. Esempio di quell'agricoltura che non muore, ma cresce nonostante tutto. Quella di Carmagnola (Piemonte) - e il suo prodotto d'eccellenza, il peperone -, è un fascinosissimo caso di agricoltura secolare eppure moderna, capace di generare lavoro e valore per milioni di euro. In vista dell'edizione del settantennio della Fiera nazionale del peperone che si terrà fra un mese, guardare dentro ad un territorio come questo serve per capire di più di un'agricoltura "normale" e quindi da valorizzare, più di altre magari maggiormente blasonate solo per la casualità della storia. Il peperone, dunque. Qui le aziende che producono peperoni sono poco più di 80; gli ettari un centinaio (fino a qualche anno fa erano 500 circa). Aziende quasi tutte familiari e piccole che, con la distribuzione, creano lavoro ad un migliaio di persone. Il prodotto finisce per il 70 % all'ingrosso a Torino, il resto viene venduto direttamente, lungo le strade che portano in città. Non semplicemente peperoni, ma il Quadrato, il Quadrato Allungato, il Trottola, il Tumaticot e il Corno di Bue (detto Il lung). Il Consorzio del peperone di Carmagnola si dà da fare e la Fiera di fine agosto si porta dietro migliaia di turisti, ma i più penseranno che quella del peperone è una piccola cosa. Eppure, questa piccola cosa vale circa 30mila quintali di prodotto e, nelle annate migliori, sette milioni di euro. Ovvio: tutto dipende dal clima e dall'annata. Qui l'agricoltura non è 4.0 ma sudore e fatica. La raccolta è manuale in questi giorni, quando il sole spacca le pietre. È la realtà dei campi oggi come secoli fa, che accomuna anche altre produzioni come il porro dolce e la canapa. Grande agricoltura.