Il pensiero della morte, compagno di viaggio
Forse è perché anch'io, come tutti, ho passato la mia vita esorcizzando quel pensiero, coltivando quella sorta d'illusione di immortalità che ciascuno di noi conosce molto bene: è quella che davanti a un incidente ci fa dire "càpita, ma non a me", e lo stesso per una malattia, una sciagura, una calamità naturale... cose che càpitano, ma non a me. Ed è sorprendente come, contro ogni logica, mentre magari riconosciamo che si tratta di un modo di pensare ovviamente sbagliato, sotto sotto, nel nostro intimo, continuiamo a essere graniticamente certi che "sicuro, può capitare, ma non a me".
Cresciuti come siamo nell'era del "più sani, più belli", abbiamo respinto la morte e tutto ciò che ce la ricorda ai margini della coscienza personale e collettiva. In questa rincorsa all'immortalità abbiamo espugnato un'età sempre più avanzata, e ancora non siamo contenti e crediamo a chiunque ci prometta di vivere fino a centovent'anni in ottima salute, ovviamente, e siamo fiduciosi che davvero il segreto per campare mille anni sia vicino a essere scoperto. Malati, handicappati, invalidi, anziani malmessi sono immagini di una realtà inquietante per il nostro benessere, di cui disfarsi in ogni modo e al più
presto. Non solo non sono sani, ma sono anche brutti a vedersi. Forse è anche per questo che l'idea dell'eutanasia sta avanzando sempre più?
Poi succede che la vita ti catapulti da un giorno all'altro dal lato opposto della barricata, e vedi tutto con occhi diversi. E comprendi tante cose, persino perché san Francesco chiamava "sorella" la morte. Da cui, per quanto ci illudiamo, «nullu homo vivente pò scappare». Quando capisci questo, allora, non ti fa più paura, e diventa una compagna di viaggio.
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