Negazione e cancellazione della realtà da un lato, e dall’altro l’indebolimento, se non la demolizione, dell’interiorità individuale sembrano oggi, sempre di più, due processi paralleli e concomitanti. Si potrebbe credere che la negazione delle realtà di fatto (per esempio i vari “negazionismi” della crisi climatica, della pandemia, della Shoah) corrisponda a una ipertrofia individualistica del soggetto. Negare la realtà è invece tipico di una mente più debole, non più forte. Non c’è infatti vera libertà individuale senza volontà consapevole e immaginazione razionale. In tv compaiono spesso documentari storici sulla nascita e il trionfo del nazismo in Germania, in cui fanatismo paranoico e violenza di massa si materializzavano in adunate oceaniche di individui annullati nella massa e accecati da un capo assoluto, privi di interiorità riflessiva e di senso della realtà. Il “trionfo della volontà”, titolo del film della nazista Leni Riefenstahl, significava cancellazione della volontà di individui che si assoggettano alla esclusiva volontà di Hitler. Se la potenza e l’efficienza militare della Germania furono sconfitte, è perché negavano attivamente e mentalmente la realtà di intere nazioni europee invadendole e terrorizzandole: e non vedendo infine la superiore forza degli Stati Uniti e dell’impero inglese. Il nazismo negava la realtà vivente di interi popoli, a cominciare dagli ebrei, usando metodi e programmi di genocidio. Ora, nel Duemila, con due guerre in Europa e nel Medio Oriente, dobbiamo tornare a riflettere sulle distruzioni del Novecento, fino ad Auschwitz e Hiroshima. Il fanatismo di gruppo e di massa e l’istinto di morte che si impadronisce diabolicamente degli individui possono sempre tornare e tornano. Si parla di cultura come rimedio. Ma non c’è cultura senza individui capaci di libera volontà e coscienza responsabili. Bisogna imparare sempre di nuovo a guardare e vedere sia fuori di noi che dentro di noi.
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