Molti ricordi della mia infanzia sono legati all'autostop. Oggi è quasi un ambito di una nuova archeologia mentale, anche se in alcune parti del mondo, negli imprecisi limes della globalizzazione, continua a essere praticato. Ricordo che i miei genitori si sentivano in colpa, quando non facevano salire un, o una, autostoppista. Era una forma di solidarietà sociale del tutto spontanea. Certo, oggi ci sono delle utilissime applicazioni per cellulare con le quali è facile mettersi d'accordo per trovare un passaggio. Ma manca la dimensione dell'avventura e in parte, diciamolo, del rischio. Nel Medioevo, la condizione umana era, non solo metaforicamente, quella del “pellegrino”, e la vita era considerata un breve transito. Il miglioramento delle condizioni di vita, l'aumento delle norme di “sicurezza” che rendono, sotto certi aspetti, la nostra quotidianità qualcosa di meno soggetto all'imprevisto, rischiano però un pericoloso effetto paradosso. L'effetto paradosso è noto in medicina: in alcuni casi, ad esempio, gli antidepressivi possono aumentare la depressione o addirittura portare al suicidio. E il paradosso della sicurezza onnipresente, quasi a sfidare l'invalicabile imprevedibilità della vita, può diventare un'ossessione peggiore del male che dovrebbe prevenire.