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Il Palio di Siena, una vita «per forza e per amore»

Mauro Berruto mercoledì 6 luglio 2022
Raccontare il Palio di Siena per un non-Senese è impossibile. Perché provarci, allora? Almeno per due ragioni: la prima è che il Palio si può amare o odiare, ma certamente non lascia indifferenti. La seconda è che il Palio, dopo cinquecento anni di storia, parla ancora tanto di noi Italiani che pure non portiamo il fazzoletto di una Contrada al collo.
Un non-Senese può raccontare il Palio in un solo modo: con profondo rispetto, astenendosi da giudizi e tentando di limitare i propri errori. Il primo da evitare è quello di concentrarsi solo nella descrizione del giorno del Palio, perché in realtà quell'esplosione di intensità andrebbe raccontata seguendo la vita della Contrada nei 364 giorni precedenti. Una lunga rincorsa che spiega che il Palio non è gioco, scontro tra tifoserie, rievocazione storica, tanto meno rappresentazione per turisti curiosi. Il Palio vive tutti i giorni dell'anno ed è per questo che chi non è nato a Siena è destinato a non capire del tutto e dunque fortemente invitato a non giudicare. Bisognerebbe poter vivere dentro alla Contrada per capire come quel modello sociale così denso di storia sia in realtà incredibilmente moderno, anzi rivoluzionario.
La vita della Contrada scorre fra senso di appartenenza e fratellanza, divisione delle competenze, mutuo assistersi, capacità di farsi carico dei più deboli, trasmissione di valori alle nuove generazioni. Un modello sociale, per dire, dove chi raggiunge posizioni di responsabilità apicali è chiamato a spendere migliaia di euro di tasca propria per il bene e per l'onore della Contrada. Un modello dove reputazione, competenza, empatia, attenzione al sociale e dimostrazione di sapersi prender cura di quella diciassettesima parte di un territorio incastonato dentro a una piccola città, è determinante per poter essere eletto dal proprio popolo: un modello meravigliosamente capovolto rispetto ai tempi che corrono.
Serve, allora, seguire quel consiglio cantato da ogni popolo delle diciassette Contrade: «Per forza e per amore ci dovete rispettare». Un costante alternarsi di due sentimenti legati da una congiunzione, non da una disgiuntiva. «Per forza», la forza della propria identità, e «per amore» della città intera, delle Contrade consorelle che, solo se insieme, fanno vivere il Palio e fanno grande Siena. Fin dal giorno del battesimo contradaiolo si insegna ai bambini che, quando ti mettono al collo il fazzoletto, quel nodo non dovrà mai più essere sciolto. Un concetto fortissimo di identità che, tuttavia, si nutre di alterità, perché per simmetria si definisce il proprio "noi" quando si comprende che, senza gli altri, nessun "noi" potrebbe esistere.
Il Palio è rappresentazione della vita, la vittoria è una rinascita, è un'esplosione tellurica, fatta di urla, di lacrime, di abbracci che qualunque tentativo di descrizione non sarebbe all'altezza di raccontare. Forse, per intuire, occorre affacciarsi un pomeriggio presto di un 2 luglio o di un 16 agosto, in una delle Chiese delle dieci Contrade che saranno in piazza, dove un prete con un fazzoletto al collo accoglie un cavallo, gli impartisce la propria benedizione e lo congeda, con la voce rotta dall'emozione, chiamandolo per nome e dicendogli: «Va' e torna vincitore!». Solo uno dei dieci tornerà vincitore e solo chi appartiene a una Contrada potrà spiegare il significato di quel ritorno.