Il nuovo sogno di Internet: farci pagare tutto (e caro)
Quando il web è nato le parole d'ordine erano soprattutto due: gratuito e libero. Tanti credevano che la condivisione delle idee e la libertà totale che la Rete prometteva avrebbero cambiato in meglio il mondo. Nel frattempo il mondo è davvero cambiato ma non sempre in meglio o come si sperava. Le idee circolano, ma spesso sono soffocate da bufale, disinformazione, violenza, contenuti stupidi o peggio. Lo proviamo in prima persona ogni giorno: su web e social c'è talmente tanto e talmente di dubbia qualità che facciamo sempre più fatica a selezionare le cose utili. Così, sempre più spesso, stando nel digitale abbiamo la sensazione di sprecare il nostro tempo. Un po' come quando ci obbligano a fare una lunghissima coda per visitare un'attrazione turistica, vedere una mostra o assistere a un concerto. Non è un esempio a caso. Da qui sono nati e proliferano i biglietti «salta coda». Quelli che, a caro prezzo, ti fanno saltare le file ed entrare velocemente anche in posti affollatissimi come il Colosseo o la Tour Eiffel. Basta essere disposti a pagare il doppio o il triplo del prezzo base. Chi paga passa davanti. E gli altri fanno la coda.
La stessa cosa sta avvenendo e avverrà sempre più spesso nel digitale. Persino la Rete, con la fine della cosiddetta Net Neutrality, è destinata a dividersi in due: da una parte quella che conosciamo, dall'altra un nuovo Internet con prestazioni mirabolanti capaci di rispondere alle esigenze di un numero enorme di aziende ma anche di utenti benestanti.
Spero davvero di sbagliarmi ma ci sono in giro troppi segnali che indicano che in futuro avremo sempre più servizi di qualità ma a pagamento, mentre per chi non ha voglia o non può pagare se non con la propria privacy le opportunità digitali rimarranno buone ma non saranno certo eccelse.
Guardiamo ai colossi del digitale. Amazon ha scelto di trasformare Prime in una sorta di club dove, a fronte di una quota annuale, hai spedizioni gratis, libri, film, serie tv e musica. Facebook sta testando servizi social a pagamento e Instagram ha aperto ai filmati di un'ora (che presto verranno monetizzati), facendo concorrenza a YouTube, il quale lancerà a breve una parte a pagamento, di musica e di video.
Anche l'Europa con la cosiddetta «link tax» sembra andare in questa direzione. Chi usava notizie, video, musica e quant'altro prodotto da terzi e quindi protetto da copyright, dovrà adeguarsi ad alcune tariffe e regole che saranno decise da ogni Paese. Sarà davvero la fine del web libero, come tuonano alcuni chiedendo all'Europa di ripensarci, votando in direzione contraria il prossimo 2 luglio? La verità, come spesso accade, credo stia nel mezzo. Da una parte – se dovesse passare la legge così com'è – perderemo una parte di libertà è di creatività (per esempio, non si potranno più creare immagini ironiche o i cosiddetti «meme» senza pagare), dall'altra questa nuova serie di regole e questo nuovo trend di un digitale sempre meno gratis ma sempre più efficiente ed efficace potrà (forse) dare una scossa ad un mondo che inevitabilmente si trova al momento in una specie di terra di mezzo. Non ci sono più le praterie della libertà di un tempo ma nemmeno regole certe che permettano a tutte le aziende che lo meritano (pensate all'editoria) di guadagnare dal digitale. E soprattutto: manca la salvaguardia dei cittadini. Con il rischio che per avere la libertà e riprenderci la nostra privacy dovremo pagarcela. Così i ricchi (come nei «fast track») salteranno la coda liberandosi ma a pagamento, mentre gli altri rimarranno in fila imbrigliati dai potenti di turno.