Un "fattore B" sta iniziando a cambiare dall'interno il modello classico del capitalismo globale. Protagoniste di questa rivoluzione (silenziosa) sono infatti le "società Benefit", che utilizzano il nuovo status introdotto nel 2016 nell'ordinamento italiano sul modello delle benefit corporation presenti negli Stati Uniti. Status che in pochi anni è stato adottato da più di 500 aziende del nostro Paese. «Le attività d'impresa sono permesse e incoraggiate dalla legge perché sono un servizio alla società, piuttosto che fonte di profitto per i suoi proprietari» scriveva nel 1932 il celebre giurista americano E.M. Dodd. All'epoca sembrava una incomprensibile negazione degli animal spirits del capitalismo anglosassone (anche se un'impostazione simile è stata seguita nel 1946 dai nostri Costituenti nella scrittura dell'articolo 43 della Carta Costituzionale), oggi può essere considerata un'intuizione profetica. Di fronte alle sfide per la sostenibilità del pianeta lanciate dall'Agenda Onu 2030, alla coscienza verde maturata dai cittadini in ogni angolo del pianeta, allo straordinario successo sui mercati finanziari di green bond e social bond, la vecchia convinzione secondo cui sostenibilità e ruolo sociale sono per le aziende soltanto "lussi" – o elementi di marketing – è destinata ad andare rapidamente in soffitta. Se l'azienda tipica dell'economia capitalistica ha come unico obiettivo il profitto, e di conseguenza la distribuzione di dividendi agli azionisti, la società benefit non rinnega l'obiettivo del profitto ma vi associa un altro obiettivo di fondo – determinare un impatto positivo sulla società e sulla biosfera – inserendolo nell'oggetto sociale. In questo paradigma innovativo i due obiettivi convivono perfettamente e si alimentano a vicenda: mediante il valore sociale e ambientale generato dall'azienda la realizzazione degli utili diventa infatti creazione di valore di lungo termine, rafforzando a sua volta la capacità dell'impresa di influire positivamente sul contesto. Hanno già scelto questo strada in Italia soprattutto aziende familiari, più legate ai loro territori e dotate probabilmente di antenne sociali più sensibili: molto interessanti (tra gli altri) i casi di Aboca, la healthcare company italiana che cura la salute attraverso prodotti esclusivamente naturali, di Chiesi Farmaceutici, la multinazionale italiana del farmaco specializzata in prodotti innovativi per apparato respiratorio e neonatologia, di Davines, che realizza prodotti di bellezza sostenibili, di Illycaffè, azienda nota in tutto il mondo per la qualità del caffè e dei suoi luoghi di consumo, di Novamont, azienda leader a livello internazionale nel settore delle bioplastiche e dei bioprodotti "rispettosi" dell'ambiente, e di Save the Duck, azienda di abbigliamento specializzata in prodotti animal free. Lo status di società benefit non porta alcun vantaggio fiscale. E' una scelta fatta per convinzione, più che per convenienza, da imprenditori lungimiranti capaci di interpretare lo "spirito del tempo". Se consumatori e investitori premieranno questo modello, come sta già avvenendo, il "fattore B" avrà consentito di raggiungere un obiettivo (in apparenza) impossibile: conciliare interesse generale e individuale. Mostrando la giusta via anche ad un politica debole e smarrita.
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