Caro Avvenire, la Finlandia ha realizzato nell’isola di Olkiluoto la sua terza centrale elettronucleare, con il reattore più potente d’Europa. La conclusione dei lavori ha avuto un’accelerazione dopo la guerra russo-ucraina in seguito al taglio della fornitura di gas da parte di Mosca. Oggi la Finlandia produce il 32% della sua elettricità mediante la fissione nucleare, il 22% è idroelettrico, il 17% con combustibili fossili. Noi invece siamo costretti a importare gas naturale liquefatto da vari Paesi. Legare l’accettazione dell’elettronucleare a problemi di sicurezza non ha un senso scientifico perché, in Europa occidentale e in America non si sono verificati incidenti di rilievo dalla sua introduzione. Viceversa, c’è un aspetto culturale e di indifferenza verso quello che è scientifico e verificabile.
Francesco Zanatta
Caro Zanatta, il tema del nucleare è da molti anni fortemente divisivo, e lei ha ragione nel sottolineare come molte posizioni siano basate su timori non sempre corrispondenti a evidenze e dati scientifici. Le farà piacere apprendere che al referendum abrogativo del 1987 ero un giovane disposto a sfidare la maggioranza con argomenti in parte simili a quelli che lei da tempo sostiene e che oggi ripropone aggiornati.
È indubbio che l’Italia sin dagli anni Cinquanta del secolo scorso fu in grado di avviare un programma all’avanguardia per l’energia atomica, forte sia di una grande scuola di fisici, a partire da Enrico Fermi, sia di eccellenti competenze ingegneristiche e capacità industriali. Vi sono stime secondo le quali nel 1966 le tre centrali dell’epoca (Latina, Garigliano e Trino Vercellese) ci garantissero la terza posizione nella classifica mondiale della potenza installata. Ma poi le cose si complicarono e le sensibilità su sicurezza e rischi ambientali crebbero e cambiarono.
Il tragico incidente di Chernobyl del 1986 (in cui pesarono significativamente l’ottusità e il cinismo politico-burocratico del regime sovietico) ha segnato la svolta decisiva. E qui devo dissentire da lei, caro Zanatta. L’Ucraina è vicina a noi, come la guerra dal 2022 ci sta dimostrando, e non ci sono confini Est-Ovest che ci proteggano da una contaminazione nucleare provocata da un malfunzionamento. Che siamo circondati da centrali oltre frontiera non è un motivo per mettersi in casa un pericolo potenzialmente ancora più prossimo.
Dobbiamo prendere atto che ormai 37 anni fa una netta maggioranza di nostri concittadini ha scelto di abbandonare l’energia atomica civile, ribadendolo nella consultazione popolare del 2011. Oggi sarebbe del tutto velleitario tentare di recuperare il tempo perduto, ammesso che si riuscisse a ottenere il consenso a ribaltare quegli ampi voti. La stessa vicenda dello smantellamento degli impianti dismessi e delle scorie radioattive da piazzare in qualche deposito, costellata di polemiche e di rifiuti delle comunità interessate, dovrebbe farci capire che tornare indietro non è fattibile.
C’è tuttavia la ricerca sulla fusione, l’atomo pulito e inesauribile, che potrebbe costituire una via risolutiva nei prossimi anni, dove anche aziende italiane sono in prima linea. È dunque lecito auspicare che si realizzi una seconda e meno controversa fioritura energetica legata al nucleare. Per ora, dobbiamo fare i conti con una transizione verde che ci chiede un supplemento di impegno e, forse, di sacrifici.
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