Il metodo del poeta Caproni: prendi la prima e l'ultima parola di un libro
Non ci si crederà, ma il metodo funziona. Ne ho parlato qualche giorno fa con il mio amico Bardo Seeber, maestro anche lui di scuola elementare. Abbiamo fatto qualche prova e i risultati danno abbastanza ragione a Caproni. L'esito negativo si vede subito. Non c'è niente da fare, si prenda una parola o se ne prendano quattro, se il libro è brutto è subito chiaro. I risultati positivi richiedono invece un po' di elasticità. Si tratta di trovare la combinazione migliore, scegliendo una sola parola o più di una. A parte la bellezza o la bruttezza, si sente anche l'atmosfera del libro. Per esempio la prima parola di Moby Dick è «Chiamatemi Ismaele» e l'ultima è «orfano»: «Chiamatemi orfano» dà il senso della solitudine del protagonista dopo la catastrofe. Con Pinocchio, «C'era una volta"un ragazzino per bene!». Con la Divina Commedia, «Nel mezzo"stelle». Con Don Chisciotte, «Lettore mio"Ti saluto». Con Guerra e Pace, «Principe mio"contento». Con l'Ulisse di Joyce, «Solenne"Sì». Effettivamente il capolavoro di Joyce, nella sua complicazione di libro d'avanguardia, è monumentale e solenne, più solenne di altri classici. Ma con i Promessi Sposi il risultato non è buono. Viene fuori «Quel ramo"fatto apposta». Eh sì. Manzoni avrà anche scritto il romanzo più importante della letteratura italiana. Ma sa di
artificiale, voluto, «fatto apposta».