Perché non rinunciamo al libro? Per la concretezza e fisicità iscritta nel suo stesso nome: "corteccia" (liber), "papiro (biblíon), "faggio" (book dall'antico bok). Per la sua resistenza a qualsiasi blackout e hackeraggio, a dispetto della sua fragilità di fronte alle catastrofi naturali. Per la sua tenace consonanza con la parola "libero": i libri li leggiamo nel tempo libero e ci rendono più liberi; per questo i roghi e i censori dai Maccabei a Hitler non hanno perduto di attualità. Per il suo compimento tramite chi lo legge, se è vero che «si scrive soltanto una metà del libro, dell'altra metà si deve occupare il lettore» (J. Conrad). Per la sua reinterpretazione nel tempo, per cui dopo il caso della nave Diciotti noi leggiamo in modo diverso l'Odissea e l'Eneide, gli approdi di Ulisse e di Enea. Per il suo essere simbolo del mondo, della natura, della vita: immagini, queste, care a teologi, filosofi e poeti del Medioevo, del Rinascimento e del Romanticismo. È il grande libro dell'universo che si interna «in un volume» e «si squaderna» in Dante (Paradiso 33, 85-87), che è «scritto in lingua matematica» in Galileo (Il Saggiatore 6), che è «vivente …/ non mai compreso, ma non incomprensibile» in Goethe (Sendschreiben). Per questo noi non ci rassegniamo alla scomparsa del libro.