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Il «lavoro di comunità» rende viva la cultura

Goffredo Fofi venerdì 8 settembre 2017
Pochi giorni fa sono stato invitato a un convegno settembrino sul “lavoro di comunità ieri e oggi”, a Nonantola, Modena. Ci andrò, l'argomento continua ad appassionarmi, e continuo a considerarlo fondamentale, soprattutto oggi che l'intera comunità-Italia non mi sembra più tale, e gli esclusi dalle decisioni comuni sono infinitamente di più, anche per loro ignavia e dunque colpa, degli inclusi e dei loro leader. Pochi giorni fa mi sono trovato, in giro per il sud, in un piccolo e vivace comune salentino, Aradeo, dove opera Koreja, un collettivo teatrale di vecchi e cari amici che proponeva nella calda serata estiva un singolare spettacolo in forma di processione laica, originale e commovente. Tutta la cittadina, non sul mare e poco turistica, vi prendeva parte chi come attore e chi come spettatore. Un carro trainato da due maestosi cavalli da lavoro portava in giro per il paese, con tappe che potevano ricordare quelle delle processioni del venerdì santo, un grande e contorto tronco di ulivo. Qui cori cantavano canti tradizionali o religiosi, qui da balconi illuminati musicisti suonavano, donne o bambini salmodiavano, e dalle strade o piazze si rispondeva, qui venivano proiettate video-interviste sulla facciata della chiesa-madre o della torre comunale... E si è finiti nella grande piazza alle porte del paese, per un ultimo coro il più collettivo e salentino di tutti («Addije, addije amore, casch'e se coje,/ la live casch'a l'albero li foije»). Lo spettacolo si intitolava Il Santolivo. Requiem per un albero, e di questo trattava: della grande paura che tutto il Salento oggi vive per il brutto male che ha intaccato la sua prima e più antica ricchezza, l'ulivo, mettendo in crisi la sua economia e in grave difficoltà un suo sereno futuro. L'unico appunto da fare a Koreja è che si trattava di un funerale, come se i giochi fossero già tutti fatti e per l'ulivo non ci fossero più speranze, ma tutto il Salento vive come un incubo questa possibilità e lo spettacolo intendeva esorcizzarla nello stesso momento in cui ha aiutato a prenderne più grave coscienza. E stringe davvero il cuore vedere, attraversando la sua magnifica pianura, tante piante già morte o parzialmente intaccate, seccate. Ma ben oltre il giudizio sullo spettacolo, ho avuto la fortuna, io e i pochi estranei alla vita del Comune e quattro casuali turisti, di assistere a un piccolo avvenimento d'eccezione: una comunità che sa mettere in scena se stessa mobilitando associazioni, parrocchie, gruppi canori, scuole eccetera, abolendo la distanza tra pubblico e attori e tra quanto viene rappresentato, il modo in cui viene rappresentato, e l'urgenza di una coscienza e di un'azione collettive. Questo è certamente, oggi, un modo vivo di fare «lavoro di comunità».