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Il lato religioso di Franz von Suppé gran maestro dell'operetta viennese

Andrea Milanesi domenica 2 novembre 2003
Atmosfere spumeggianti e intrecci amorosi, melodie danzanti e romantici couplets: a questi pittoreschi elementi sono indissolubilmente legati titoli come La bella Galatea, Cavalleria leggera o Boccaccio, con cui Franz von Suppé (1819-1895) ha fornito un contribuito decisivo alla stagione d'oro dell'operetta viennese ottocentesca. Nato a Spalato, Francesco Ezechiele Ermenegildo Cavaliere von Suppé-Demelli (così venne registrato all'anagrafe) si trasferì già da bambino nella capitale asburgica, dove ebbe ben presto modo di far valere le proprie doti musicali, divenendo direttore del prestigioso Theater an der Wien. Soprannominato «l'Offenbach viennese», il compositore seppe appunto imporsi per la sua brillante vena creativa "leggera", in virtù della quale viene ancora ricordato ai nostri giorni. Grazie all'illuminato intervento di Michel Corboz, con grande sorpresa ci imbattiamo oggi in un aspetto poco conosciuto della personalità artistica di Suppé, ma non per questo meno autentico e affascinante; a capo dell'Orchestra e del Coro della Fondazione Calouste Gulbenkian di Lisbona, il direttore svizzero ha infatti realizzato una vibrante registrazione dal vivo del Requiem (pubblicata da Virgin e distribuita da Emi), lavoro completato nel 1855 e dedicato alla memoria di Franz Pokorny. L'opera si fonda su un impianto stilistico e strutturale che richiama molto da vicino quello del Requiem mozartiano e si traduce in un policromo tessuto sonoro su cui si inseriscono gli interventi dei quattro cantanti solisti - a cui nel Benedictus è riservato un importante episodio "a cappella" (solo voci) - ma che vede nella compagine corale il protagonista assoluto della scena: presente in ogni singolo movimento e in grande evidenza soprattutto nelle sezioni fugate del Kyrie e dell'Agnus Dei, nell'imperioso e infiammato Dies irae, nell'etereo sussurro del Tuba mirum o del Recordare. Riflesso di un'emotività sincera e ispirata, si tratta di una partitura che si paragona sempre con lo spirito profondamente meditativo del testo e che merita un posto di maggior rilievo all'interno della letteratura musicale sacra del XIX secolo; appena al di sotto dei grandi capolavori "funebri" di Berlioz, Dvorak, Verdi e Fauré.