Il grembo, custode della vita e del destino eterno
Due donne s’incontrano, immerse nell’atmosfera dorata dei fondi medioevali. Dietro alla Vergine si scorge una montagna. È la montagna di Giuda, dove vive la cugina Elisabetta, ma è anche simbolo di quel Dio d’Israele che, apparso sul monte Sinai a Mosè, ora si sta rivelando al mondo intero in un volto umano. Dietro a Elisabetta, invece, c’è una casa. Lei è la donna del Patto, la donna della Casa d’Israele, da lei uscirà quell’Elia che i profeti avevano promesso, appunto, alla casa di Giacobbe: Giovanni Battista.
Ed ecco le due donne, tese in un abbraccio sigillato nel tempo che giunge fino a noi. Gli Strueb non potevano certo immaginare quale significato avrebbe assunto, nel XXI secolo, quella danza di neonati in seno alle due madri. Per loro la vita era tale fin dal concepimento e l’uomo era persona fin dalla primissima origine. Perciò disegnano dentro i due grembi materni non solo i futuri nascituri, ma anche il loro destino. Cristo sta in piedi, circonfuso di gloria, quella gloria che aveva prima che il mondo fosse e che il Padre gli restituirà intatta dopo i giorni del dolore che lo attenderanno; l’altro invece è già in ginocchio, è già in adorazione di una Presenza. Il futuro Giovanni è solo un feto (e oggi a stento sarebbe riconosciuto persona), ma già compie la sua missione di Precursore, deputato a riconoscere il Verbo della vita.
Il «grembo»(in latino sinus), nell’arte come in tutta la Sacra Scrittura, è luogo di vita: dal concepimento fino alla morte naturale. Anche il paradiso è identificato all’interno della Bibbia come un grembo: il seno di Abramo, luogo dove l’uomo ritorna, trovando compimento e pace.
Lo si vede in alcune straordinarie miniature o nei mosaici, come quello del Battistero di Firenze oppure, ed è l’opera più interessante, negli affreschi del XIV secolo dell’antica Santa Maria del Casale in Brindisi. Qui, Rinaldo da Taranto dipinge i tre patriarchi: Abramo (il primo a destra) tiene in grembo il povero Lazzaro il quale, a braccia aperte come Cristo in croce e con in mano dei gigli, sembra voler accogliere ogni uomo piagato e condurlo nel gaudio eterno.
Ci sono voluti i nostri secoli davvero oscuri (a dispetto di certo giudizio sul Medioevo), per mettere in dubbio la dignità della vita dal suo sorgere al suo tramonto. Per fortuna, più delle moderne ecografie, ci soccorrono queste ecografie dell’arte che ci confermano nelle verità di sempre: siamo vivi fin da principio e nel nostro DNA è misteriosamente inscritto il nostro destino eterno.
Jakob e/o Hans Strueb, La Visitazione ca. 1505, Olio su tavola 80 x 54,7 centimetriMuseo Thyssen-Bornemisza, Madrid
Rinaldo da Taranto (XIV sec.) Giudizio Universale, affresco. Part di Abramo, Isacco e Giacobbe. Chiesa di Santa Maria del Casale (XIII sec.) Brindisi.