Il giro d'affari delle agromafie salito del 30% in un anno: sfiora i 22 miliardi
Le mafie – dice ancora la Coldiretti – condizionano il mercato agroalimentare stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l'esportazione del nostro vero o falso Made in Italy, e lo sviluppo ex novo di reti di smercio al minuto. Tutto senza dire del caporalato. In questo modo la malavita si appropria di vasti comparti dell'agroalimentare e dei guadagni che ne derivano. Con ulteriori conseguenze, come la distruzione della concorrenza e del libero mercato, la mortificazione dell'imprenditoria onesta, la grave compromissione della qualità e della sicurezza dei prodotti.
È, a ben vedere, una sorta di ritorno alle radici quello delle mafie agricole. Un ritorno che non ne diminuisce affatto il significato criminale, ma che anzi accresce il controllo sul territorio da parte della criminalità organizzata. «Potendo contare costantemente su una larghissima e immediata disponibilità di capitale e sulla possibilità di condizionare parte degli organi preposti alle autorizzazioni ed ai controlli», dice ancora Coldiretti, le mafie «si muovono con maggiore facilità rispetto all'imprenditoria legale».
Certo, i risultati del contrasto alla criminalità organizzata nelle campagne e lungo la filiera dai campi alle tavole, ci sono e valgono moltissimo. Ma non bastano ancora. Ed è certamente anche da qui che passa la rinascita di vaste aree del Paese così come il rilancio di tutto l'agroalimentare nazionale. Da qui, fra l'altro, la richiesta proprio dei coltivatori di «stringere le maglie ancora larghe della legislazione con la riforma dei reati in materia agroalimentare». Giusta domanda alla quale occorre dare subito risposta, al di là degli schieramenti politici.