Il futuro si gioca sulle competenze (capiamolo)
Una conferma statistica viene dal Rapporto "Getting Skills Right: Italia", appena pubblicato dall'Ocse, secondo cui il 6% dei lavoratori italiani ha competenze insufficienti per svolgere le proprie mansioni lavorative, il 18% possiede un titolo di studio inferiore a quello richiesto dalla sua professione, il 35% è impiegato in settori che non corrispondono alla propria area di studio. Tutto questo si accompagna a un grande paradosso nel quale è avvitato oggi il nostro sistema imprenditoriale, che appare spaccato a metà: da una parte c'è un gruppo (ristretto) di imprese italiane di grandi e medie dimensioni ad alta produttività, che fanno grande fatica a trovare le competenze di alto livello di cui avrebbero bisogno, dall'altra parte c'è un corpo imprenditoriale fatto di piccole e piccolissime ditte, spesso incapaci di innovare prodotti e processi, che esprimono altrettanto spesso una domanda di competenze estremamente bassa. Ciò trascina l'Italia nel suo complesso – come rileva appunto l'Ocse – in un equilibrio caratterizzato da bassa innovazione, scarsa produttività, competenze inadeguate.
Come uscire da questa trappola? Con una serie di salti culturali (non facili, per definizione): tra questi considero vitale la diffusione del virus del giusto merito in tutti gli ambiti lavorativi, sino a "sanzionare" i capi che favoriscono l'avanzamento di collaboratori privi di competenze, e legando più fortemente le retribuzioni ai risultati raggiunti. Ci deve essere spazio e dignità per tutti, ma se il futuro si gioca sulle competenze, non possiamo perdere la partita prima di iniziarla.
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