Si usa dire: «Ho preso freddo». Pure se il verbo è all’attivo, l’effetto è passivo, fa sentire freddo. Dico per me: «Ho preso il freddo», nel senso di averlo preso volontariamente, perché è inverno e il corpo reagisce coprendosi, non aumentando i gradi di riscaldamento della casa. Mi sono abituato, scaldo un solo ambiente, la cucina, dove passo il giorno. Niente zanzare, mosche, visite di formiche, il freddo è pausa, riposo e custodia della terra. Si usa d’inverno rientrando in casa togliersi il soprabito, il cappotto, il berretto di lana. L’appartamento è tiepido. Il mio no, perciò resto vestito come per l’esterno. Intanto il giorno prolunga la parabola del sole, tramonta un po’ più in là e già questo pensiero mi rallegra. Nella casa lontana nel tempo di Montedidio a Napoli non c’era riscaldamento, come in quasi tutti gli alloggi di allora. Un paio di stufette elettriche addomesticavano la temperatura. Non si dovevano accostare le mani intirizzite altrimenti venivano i geloni. Nelle case più povere un braciere a carbonella mandava più fumo che tepore, oltre al micidiale monossido, che uccideva nel sonno. L’inverno non era una stagione, ma un attraversamento. I vecchi che doppiavano il Capo Horn di febbraio si erano guadagnati un altro anno. Sono rimasto in buoni rapporti con il freddo, non lo butto fuori di casa. Coperto a dovere, lo prendo, lo respiro. Quello che non prendo è il raffreddore.
© riproduzione riservata