C'è un dovere della gioia? Lunedì il vecchio di cui spesso parliamo se lo domandava mentre, recitando il Rosario, evocava appunto i Misteri della gioia. In seguito l'interrogativo gli è tornato, dentro una stretta della solita routine. E gli è venuto da rispondere: la gioia è come il coraggio del manzoniano don Abbondio, chi non ce l'ha non se la può dare. Anzi il coraggio, la cui dimensione naturale sta nei comportamenti, è più accessibile della gioia: che è un sentimento puro. Non basta dire, con la canzonetta dei nonni: oh, come son felice! Al più si può tentare di agire come se si fosse felici, non lasciandosi paralizzare dalla tristezza e dalla depressione. Ma l'impressione poi è che non basti, che non ci venga chiesto solo questo. Che della tristezza e della depressione siamo chiamati a rispondere: che si tratti quasi di peccati. Ma forse è sbagliato porre così la questione. Se si vive in un certo modo, i giochi sono fatti: la conseguenza è l'infelicità, appena sopravvengono certi eventi e certe situazioni. Bisogna agire come si dice a monte: quando l'agire è ancora libero (ed è l'agire di cui si risponde). Giocando il massimo della nostra posta sul numero sicuro: sul Qualcosa che non può mancarci, Dio. Ma dipende davvero da noi vivere di Dio? Comunque, non è facile.