Sì, è vero, dopo Auschwitz e Hiroshima (e anche negli stessi anni) ci sono stati altri olocausti, e continuano a essercene. La storia continua, «il mondo va avanti» – ed è troppo spesso una storia di stragi e di genocidi. Che riguardano gli adulti e, più innocenti di tutti, i bambini come ha annunciato il Vangelo con il massacro ordinato da Erode. Ma è giusto ricordare ogni anno le particolari violenze di cui è stato teatro il nostro continente, e le complicità che le hanno circondate, la cui ignavia non è stata meno grave di quella che circonda quelle di oggi. Orecchioacerbo, la bella casa editrice di libri illustrati che vanno bene per bambini come per adulti in ragione della qualità grafica e del rigore pedagogico e artistico, ha mandato in libreria un racconto di Irène Cohen-Janca illustrato senza alcuna compiacenza dalla matita di Maurizio Quarello, che evoca la tragica storia del dottor Korczak e dei suoi bambini. Titolo quasi obbligato:L’ultimo viaggio. Korczak è stato uno dei maggiori pedagogisti del ’900, "figlio" di Tolstoj e "fratello" della Montessori. Ebreo di Varsavia, dovette spostare nel ghetto il suo orfanotrofio per ebrei (e chiudere le iniziative rivolte a tutti i bambini senza distinzione) fino a seguire i suoi bambini nelle camere a gas di Treblinka (ebbe la possibilità di fuggire, ma lui solo, grazie ad amici polacchi e alla corruzione di alcuni nazisti). Quarello si è ispirato per le sue tavole – tragicamente serene, virate al grigio e al seppia – al bellissimo film di Wajda Il dottor Korczak (sulle cui immagini ha preso corpo un altro grande film, Il pianista di Polanski), assistito dalla lineare essenzialità di un testo che insiste sul messaggio più profondo di Korczak, autore tra l’altro di Il diritto dei bambini al rispetto (Edizioni dell’asino) e di un breve saggio su Il diritto dei bambini alla morte che rivendica per i bambini il diritto di sapere che la vita ha un termine. Su questo anzi ha costruito, mi pare, le sue convinzioni pedagogiche, attuali oggi come ieri: è il senso del limite (lo disse più tardi, tra tanti, Camus) che dà valore alla vita e che spinge ad accettarla godendone fino in fondo, a viverla sapendone il dono, il valore. Di qui l’insistenza di Korczak sull’allegria da comunicare ai bambini e sulla sacralità e centralità dell’infanzia.