Il dl Dignità rimescola le regole per enti e associazioni sportive
Di fatto però le associazioni sportive di dilettanti – spesso fiore all'occhiello di molti oratori e scuole cattoliche – sono da sempre estranee agli strumenti e alle logiche di una impresa e quindi doversi rivestire nella forma di società (di persone o di capitali) ha apportato agli enti nuovi problemi e aspetti critici più che vantaggi, e disparità anche in campo fiscale. Inoltre la contemporanea riforma del Terzo settore ha complicato ulteriormente il quadro generale poiché consente agli enti così inquadrati di gestire anche attività sportive dilettantistiche.
Preso atto di questa situazione, il Decreto Dignità ha stabilito la cancellazione delle disposizioni della legge di bilancio che interessavano gli enti dello sport. In particolare sono abrogate le norme che riguardano lo statuto, le agevolazioni fiscali, il rapporto di lavoro, la qualificazione dei redditi e la disciplina previdenziale.
Ritorna quindi in vigore – oltre al divieto di lucro – la normativa precedente che consente alle associazioni e alle società sportive di esercitare la propria attività attraverso la veste di associazione, con o senza personalità giuridica di diritto privato, oppure di società o di cooperativa purché senza fini di lucro.
Collaboratori. Il Decreto, in particolare, esclude anche che le società sportive possano ricorrere alle collaborazioni coordinate e continuative, peraltro da individuare in base ad una emananda normativa del Coni. La presenza di collaboratori in un ambiente di lucro comportava rapporti burocratici coi Centri per l'impiego, un'apposita gestione contabile e l'iscrizione all'Inps-Gestione separata in caso di elevati compensi.
Col ritorno alla vecchia normativa si ripresentano anche i rischi di contenzioso col Fisco, sempre in sospetto che gli onesti rimborsi delle società sportive ai propri collaboratori siano invece l'indizio di floride attività commerciali.