I fanatici degli estremi e la terza via del digitale
Nel mondo digitale ogni cosa è composta da una serie di numeri. Che si tratti di un video, una foto, un post o un messaggio WhatsApp non cambia: dietro c'è una sequenza di numeri binari, cioè una lunga (a volte lunghissima) sfilza di zero e uno.
Se ci fate caso, soprattutto sui social (ma non solo lì), le reazioni (e le emozioni) che incontriamo ci appaiono sempre più spesso di tipo "binario". Come se esistessero solo due stati emotivi: l'entusiasmo (e la felicità) o la rabbia (e la frustrazione). È come se nella società fosse in atto una sorta di regressione diffusa, la quale ci sta facendo pericolosamente scivolare al ruolo «di bambini emotivi».
La cosa che dovrebbe preoccuparci è che questo «status» è pericolosamente simile a un grave disturbo che si chiama splitting. È un meccanismo di difesa che agisce in modo inconscio e che fa vedere tutto «o bianco o nero», con conseguenze gravi sulla socialità, l'umore e la personalità di chi ne soffre.
Se leggete i sintomi, dopo avere fatto un giro sui social (e non solo lì), c'è di che preoccuparsi. Le persone che soffrono di splitting vengono definite «fanatici degli estremi». Hanno come filosofia di vita «o tutto o niente» e di fronte anche a un piccolo imprevisto credono che vada tutto male.
Le persone affette da splitting non solo non se ne rendono conto, ma si considerano persone schiette e con i piedi per terra «alle quali non piacciono le mezze misure». Come abbiamo accennato, si tratta di un meccanismo di difesa. «Davanti alla mancanza di chiarezza, la mente risponde cercando di generare risposte assolutamente chiare: «o è o non è»; «o è bianco o è nero». C'è di più: «chi è vittima dello splitting, non riesce a mettere insieme i sentimenti positivi con quelli negativi. Prima ama al massimo e poi odia con forza, e viceversa». E ancora: «crede in tutto quello che gli dicono o non vi crede affatto». Infine: «ogni ambiguità o paradosso gli provoca dolore emotivo e lo induce a rispondere in maniera radicale».
La causa di questo disturbo sarebbe legata a problemi nati durante l'infanzia di chi ne soffre. Non è quindi colpa dei social, semmai le piattaforme sociali (paradossalmente) ci hanno aiutato a scoprire quanto siamo tutti a rischio di cadervi, anche nella forma più blanda. E ciò che rischiamo se diventasse un'epidemia.
Una cosa è certa: a furia di seguire chi urla di più e di cercare lo scontro «per divertimento», per «un like» o solo per noia, giorno dopo giorno, stiamo perdendo la capacità di accettare non solo che il mondo non sia solo bianco o nero, ma anche che ogni persona abbia opinioni a volte contrastanti e spesso diverse dalle nostre. E soprattutto che la maggior parte delle questioni siano complesse e quindi abbiano bisogno di tempo e di impegno per essere analizzate e comprese a dovere.
A questo punto devo farvi una confessione: non era mia intenzione occuparmi dello splitting. Ci sono arrivato perché volevo occuparmi del nostro modo di approcciare la tecnologia e il digitale in modo spesso tendenzialmente «binario». Cioè, «estremo». O «bianco» (da tecno entusiasti) o «nero» (da «tecno pessimisti). Con tutto ciò che ne comporta. Non sempre in bene. Adesso però lo spazio è praticamente finito. Per cui aggiungo solo un pensiero. Sarò ingenuo ma credo che, se vogliamo approcciare il digitale nel modo più utile, dovremmo cercare di intraprendere una terza via. Quella che cerca il bene dell'uomo in ogni contesto e su ogni mezzo. Che guarda con attenzione alle novità tecnologiche non per farsi ammaliare ma per capire come poterle usare al meglio e per migliorare la vita di ognuno. Anche di chi soffre di un disturbo molto serio come lo splitting o ci va ogni giorno molto vicino senza ovviamente accorgersene.