Il dilemma dell'Europa verde
L'obiettivo della neutralità climatica dovrebbe unirci tutti. Ormai non serve più una profonda coscienza ambientalista per cogliere i segnali che il pianeta, sofferente, ci invia ogni giorno. Ma come arrivare ad un obiettivo così desiderabile è tema di discussione in ogni angolo d'Europa, perché le proposte presentate dalla Commissione Europea appaiono spesso figlie di una scelta "ideologica" più che pragmatica. Un esempio per tutti: la Commissione prevede la riduzione del 100% delle emissioni inquinanti dei nuovi veicoli per la mobilità entro il 2035, che implica il divieto di vendita di nuove automobili a benzina o gasolio dopo il 2035.
Ma uno switch così radicale porta con sé il rischio di spiazzare l'industria europea dell'automotive a vantaggio dei competitors asiatici e americani. In una recente riunione con il presidente francese Macron, il numero uno di PFA (la bandiera dell'automotive transalpino) Luc Chatel ha affermato che questo tipo di accelerazione verso la mobilità elettrica «avrà delle conseguenze devastanti, cancellando cento anni di know how europeo»: a suo giudizio, determinerà la perdita di 100mila posti di lavoro (sugli attuali 400mila) e di 17,5 miliardi di euro di fatturato del settore in Frania.
Conciliare il Green New Deal con le caratteristiche dell'industria manifatturiera è uno dei compiti più complessi che il legislatore europeo si troverà di fronte nei prossimi anni: avrà un gran da fare il Parlamento europeo, che dovrà vagliare e approvare le proposte della Commissione, per trovare punti di equilibrio accettabili. Ma "FIT for 55" rappresenta un vero e proprio "manifesto" per la Commissione Von der Leyen, come dimostra indirettamente il fatto che la stessa visione emerga chiaramente dal Next Generation EU. Tornare indietro è impossibile, andare avanti con giudizio è opportuno.
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